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lunedì 29 settembre 2014

Liturgia di ringraziamento nel 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù

Città del Vaticano, 28 settembre 2014 (VIS). Nel pomeriggio di ieri, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Chiesa del SS. Nome di Gesù all’Argentina in Roma, la Liturgia di ringraziamento in occasione del 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù nella Chiesa universale, sancita da Papa Pio VII con la bolla "Sollicitudo omnium ecclesiarum" del 7 agosto 1814 . Nel corso della solenne Liturgia, che comprendeva la recita dei Vespri e il canto del Te Deum, dopo la proclamazione del Vangelo e prima del rinnovo delle promesse da parte dei gesuiti presenti, il Santo Padre Francesco ha tenuto l’omelia di cui riportiamo ampi brani:

"La Compagnia insignita del nome di Gesù ha vissuto tempi difficili, di persecuzione. Durante il generalato del Padre Lorenzo Ricci 'i nemici della Chiesa giunsero ad ottenere la soppressione della Compagnia' da parte del mio predecessore Clemente XIV. Oggi, ricordando la sua ricostituzione, siamo chiamati a recuperare la nostra memoria, a fare memoria, richiamando alla mente i benefici ricevuti e i doni particolari".

"In tempi di tribolazione e di turbamento si solleva sempre un polverone di dubbi e di sofferenze, e non è facile andare avanti, proseguire il cammino. Soprattutto nei tempi difficili e di crisi vengono tante tentazioni: fermarsi a discutere di idee, lasciarsi trasportare dalla desolazione, concentrarsi sul fatto di essere perseguitati e non vedere altro. (...) Il padre Generale Ricci, che scriveva ai gesuiti di allora (...) In un tempo di confusione e di turbamento ha fatto discernimento. Non ha perso tempo a discutere di idee e a lamentarsi, ma si è fatto carico della vocazione della Compagnia".

"La Compagnia (...) ha vissuto il conflitto fino in fondo, senza ridurlo: ha vissuto l’umiliazione con Cristo umiliato, ha ubbidito. Non ci si salva mai dal conflitto con la furbizia e con gli stratagemmi per resistere. Nella confusione e davanti all’umiliazione la Compagnia ha preferito vivere il discernimento della volontà di Dio, senza cercare un modo per uscire dal conflitto in modo apparentemente tranquillo. (...) Non è mai l’apparente tranquillità ad appagare il nostro cuore, ma la vera pace che è dono di Dio. Non si deve mai cercare il 'compromesso' facile né si devono praticare facili 'irenismi'. Solo il discernimento ci salva dal vero sradicamento, dalla vera 'soppressione' del cuore, che è l’egoismo, la mondanità, la perdita del nostro orizzonte, della nostra speranza, che è Gesù, che è solo Gesù. E così il padre Ricci e la Compagnia in fase di soppressione ha privilegiato la storia rispetto a una possibile 'storiella' grigia, sapendo che è l’amore a giudicare la storia, e che la speranza - anche nel buio - è più grande delle nostre attese. (...) Per questo il padre Ricci giunge, proprio in questa occasione di confusione e di smarrimento, a parlare dei peccati dei gesuiti. (...) Guardare a se stessi riconoscendosi peccatori evita di porsi nella condizione di considerarsi vittime davanti a un carnefice. Riconoscersi (...) davvero peccatori, significa mettersi nell’atteggiamento giusto per ricevere la consolazione".

"Possiamo ripercorrere brevemente questo cammino di discernimento e di servizio (...) Quando nel 1759 i decreti di Pombal distrussero le province portoghesi della Compagnia, il padre Ricci visse il conflitto non lamentandosi e lasciandosi andare alla desolazione, ma invitando alla preghiera per chiedere lo spirito buono, il vero spirito soprannaturale della vocazione, la perfetta docilità alla grazia di Dio. Quando nel 1761 la tempesta avanzava in Francia, il padre Generale chiese di porre tutta la fiducia in Dio. (...) Nel 1760, dopo l’espulsione dei gesuiti spagnoli, ancora continua a invitare alla preghiera. E infine, il 21 febbraio 1773, appena sei mesi prima della firma del Breve 'Dominus ac Redemptor', davanti alla totale mancanza di aiuti umani, vede la mano della misericordia di Dio che invita coloro che sottopone alla prova a non confidare in altri che non sia solamente Lui. (...) L’importante per il padre Ricci è che la Compagnia fino all’ultimo sia fedele allo spirito della sua vocazione, che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime".

"La Compagnia, anche davanti alla sua stessa fine, è rimasta fedele al fine per il quale è stata fondata. Per questo Ricci conclude con una esortazione a mantenere vivo lo spirito di carità, di unione, di obbedienza, di pazienza, di semplicità evangelica, di vera amicizia con Dio. Tutto il resto è mondanità. (...) Ricordiamoci la nostra storia: alla Compagnia 'è stata data la grazia non solo di credere nel Signore, ma anche di soffrire per lui'. (...) La nave della Compagnia è stata sballottata dalle onde e non c’è da meravigliarsi di questo. Anche la barca di Pietro lo può essere oggi. La notte e il potere delle tenebre sono sempre vicini. Costa fatica remare. I gesuiti devono essere 'rematori esperti e valorosi' (...), Remate, siate forti, anche col vento contrario! Remiamo a servizio della Chiesa. (...) Ma mentre remiamo - tutti remiamo, anche il Papa rema nella barca di Pietro - dobbiamo pregare tanto (...) Il Signore, anche se siamo uomini di poca fede e peccatori ci salverà".

"La Compagnia ricostituita dal mio predecessore Pio VII era fatta di uomini coraggiosi e umili nella loro testimonianza di speranza, di amore e di creatività apostolica, quella dello Spirito. (...) Per questo egli diede l’autorizzazione ai gesuiti che ancora qua e là esistevano grazie a un sovrano luterano e a una sovrana ortodossa, a 'restare uniti in un solo corpo'. E (...) la Compagnia riprese la sua attività apostolica con la predicazione e l’insegnamento, i ministeri spirituali, la ricerca scientifica e l’azione sociale, le missioni e la cura dei poveri, dei sofferenti e degli emarginati. Oggi la Compagnia affronta con intelligenza e operosità anche il tragico problema dei rifugiati e dei profughi; e si sforza con discernimento di integrare il servizio della fede e la promozione della giustizia, in conformità al Vangelo. Confermo oggi quanto ci disse Paolo VI alla nostra trentaduesima Congregazione generale e che io stesso ho ascoltato con le mie orecchie: 'Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell’uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti'".

"Nel 1814, al momento della ricostituzione, i gesuiti erano un piccolo gregge, una 'minima Compagnia', che però si sapeva investito, dopo la prova della croce, della grande missione di portare la luce del Vangelo fino ai confini della terra. Così dobbiamo sentirci noi oggi, dunque: in uscita, in missione. L’identità del gesuita è quella di un uomo che adora Dio solo e ama e serve i suoi fratelli, mostrando attraverso l’esempio non solo in che cosa crede, ma anche in che cosa spera e chi è Colui nel quale ha posto la sua fiducia".

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