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domenica 28 luglio 2013

CHIAMATI A PROMUOVERE LA CULTURA DELL'INCONTRO

Città del Vaticano, 28 luglio 2013 (VIS). La Cattedrale Metropolitana di São Sebastião do Rio de Janeiro, le cui vetrate, opera di Lorenz Halimar, illustrano le quattro caratteristiche della Chiesa: Una (colore dominante verde), Santa (rosso), Cattolica (azzurro) e Apostolica (giallo), ha accolto ieri, alle 9:00 ora locale (14:00 ora di Roma), Papa Francesco che ha celebrato la Santa Messa con i Vescovi della Giornata Mondiale della Gioventù, i Sacerdoti, i Religiosi e i Seminaristi. In occasione dell'anno della Fede, i testi della celebrazione sono stati tratti dalla Messa per l'Evangelizzazione dei Popoli. Il Santo Padre ha dedicato l'omelia ai tre aspetti della vocazione: chiamati da Dio, chiamati ad annunciare il Vangelo, chiamati a promuovere la cultura dell'incontro.

Del primo aspetto "Chiamati da Dio", il Papa ha detto: "Credo che sia importante ravvivare sempre in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata (...): 'Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi', ci dice Gesù. È riandare alla sorgente della nostra chiamata. Per questo, un vescovo, un sacerdote, un consacrato, una consacrata, un seminarista non può essere 'smemorato': perde il riferimento essenziale al momento iniziale del suo cammino. (...) Siamo stati chiamati da Dio e chiamati per rimanere con Gesù, uniti a Lui. In realtà, questo vivere, questo permanere in Cristo segna tutto ciò che siamo e facciamo. È precisamente questa 'vita in Cristo' ciò che garantisce la nostra efficacia apostolica, la fecondità del nostro servizio. (...) Non è la creatività, per quanto pastorale sia, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, anche se aiutano e molto, ma quello che assicura il frutto è l’essere fedeli a Gesù (...). E noi sappiamo bene che cosa significa: contemplarLo, adorarLo e abbracciarLo, nel nostro incontro quotidiano con Lui nell'Eucaristia, nella nostra vita di preghiera, nei nostri momenti di adorazione; riconoscerlo presente e abbracciarlo anche e nelle persone più bisognose. Il 'rimanere' con Cristo non significa isolarsi, ma è un rimanere per andare all’incontro con gli altri. Qui voglio ricordare alcune parole della Beata Madre Teresa di Calcutta. Dice così: 'Dobbiamo essere molto orgogliose della nostra vocazione che ci dà l'opportunità di servire Cristo nei poveri. È nelle 'favelas', nei 'cantegriles', nelle 'villas miseria', che si deve andare a cercare e servire Cristo. Dobbiamo andare da loro come il sacerdote si reca all'altare, con gioia'".

Nello spiegare il secondo aspetto: "Chiamati ad annunciare il Vangelo", il Pontefice ha detto: "Molti di voi, carissimi Vescovi e sacerdoti, se non tutti, siete venuti per accompagnare i vostri giovani alla loro Giornata Mondiale (...). È nostro impegno di Pastori aiutarli a far ardere nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù. Certo, molti potrebbero sentirsi un po’ spaventati di fronte a questo invito, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. Dio chiede che siamo missionari. Dove siamo? Dove Lui stesso ci colloca, nella nostra patria o dove ci ponga. Aiutiamo i giovani. Abbiamo l'orecchio attento per ascoltare le loro illusioni - hanno bisogno di essere ascoltati -,(...) La pazienza di ascoltare! Questo ve lo chiedo con tutto il cuore! Nel confessionale, nella direzione spirituale, nell'accompagnamento. Sappiamo perdere tempo con loro. Seminare, costa e affatica, affatica moltissimo! Ed è molto più gratificante godere del raccolto! Che furbizia! Tutti godiamo di più con il raccolto! Però Gesù ci chiede che seminiamo con serietà".

"Non risparmiamo le nostre forze nella formazione dei giovani! - ha esclamato il Papa - (...)
Aiutare i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede (...) Educarli nella missione, ad uscire (...). Così ha fatto Gesù con i suoi discepoli: non li ha tenuti attaccati a sé come una chioccia con i suoi pulcini; li ha inviati! Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, nella nostra istituzione parrocchiale o nella nostra istituzione diocesana, quando tante persone sono in attesa del Vangelo! Uscire inviati. Non è semplicemente aprire la porta perché vengano, per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare e incontrare! Spingiamo i giovani affinché escano. Certo che faranno stupidaggini. Non abbiamo paura! Gli Apostoli le hanno fatte prima di noi. (...) Pensiamo con decisione alla pastorale partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani, da coloro che di solito non frequentano la parrocchia. Loro sono gli invitati VIP. Andare a cercarli nel crocevia delle strade".

Infine il Papa si è riferito al terzo aspetto: "Chiamati a promuovere la cultura dell’incontro" ed ha detto: "In molti ambienti, e in generale in questo umanesimo economicista che ci è stato imposto nel mondo - ha sottolineato - si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una 'cultura dello scarto'. Non c'è posto né per l’anziano né per il figlio non voluto; non c’è tempo per fermarsi con quel povero nella strada. A volte sembra che per alcuni, i rapporti umani siano regolati da due 'dogmi' moderni: efficienza e pragmatismo. (...) Abbiate il coraggio di andare controcorrente a questa cultura efficentista, a questa cultura dello scarto. L’incontro e l’accoglienza di tutti, la solidarietà - una parola che si sta nascondendo in questa cultura, quasi fosse una cattiva parola -, la solidarietà e la fraternità, sono elementi che rendono la nostra civiltà veramente umana. Essere servitori della comunione e della cultura dell'incontro! (...) E farlo senza essere presuntuosi, imponendo 'le nostre verità', ma bensì guidati dall'umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla".

Al termine della Messa e dopo la Benedizione dei presenti, il Papa a bordo dell'autovettura panoramica ha raggiunto il Teatro Municipale per l'Incontro con la classe dirigente del Brasile.

PAPA FRANCESCO ALLA CLASSE DIRIGENTE DEL BRASILE: "UN PAESE CRESCE QUANDO DIALOGANO IN MODO COSTRUTTIVO LE SUE DIVERSE RICCHEZZE CULTURALI"

Città del Vaticano, 28 luglio 2013 (VIS). "Vedo in voi la memoria e la speranza: la memoria del cammino e della coscienza della vostra Patria e la speranza che questa Patria, sempre aperta alla luce che promana dal Vangelo, possa continuare a svilupparsi nel pieno rispetto dei principi etici fondati sulla dignità trascendente della persona. Memoria del passato e utopia verso il futuro si incontrano nel presente, che non è una congiuntura senza storia e senza promessa, ma un momento nel tempo, una sfida per raccogliere saggezza e saperla proiettare". Con queste parole, nel pomeriggio di ieri, Papa Francesco ha aperto l'incontro con la classe dirigente del Brasile nel Teatro Municipale di Rio de Janeiro. Erano presenti politici, diplomatici, esponenti della società civile, dell'imprenditoria, della cultura e rappresentanti delle maggiori comunità religiose del Brasile.

Il Santo Padre che è stato accolto al suo arrivo dalla Presidente del Teatro e dalla Segretario di Stato alla Cultura, ha citato il pensatore brasiliano Aleceu Amoroso Lima che affermava: "Quanti, in una Nazione, hanno un ruolo di responsabilità, sono chiamati ad affrontare il futuro 'con lo sguardo calmo di chi sa vedere la verità', ed ha aggiunto: "Vorrei condividere con voi tre aspetti di questo sguardo calmo, sereno e saggio: primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente".

"Anzitutto, è giusto - ha detto il Papa - valorizzare la dinamica originalità che caratterizza la cultura brasiliana, con la sua straordinaria capacità di integrare elementi diversi. Il comune sentire di un popolo, le basi del suo pensiero e della sua creatività, i principi fondamentali della sua vita, i criteri di giudizio in merito alle priorità, alle norme di azione, si fondano, si fondono e crescono su una visione integrale della persona umana. Questa visione dell’uomo e della vita così come è propria del popolo brasiliano, ha ricevuto anche la linfa del Vangelo, la fede in Gesù Cristo, nell’amore di Dio e la fraternità con il prossimo. La ricchezza di questa linfa può fecondare un processo culturale fedele all’identità brasiliana e, al tempo stesso, un processo costruttore di un futuro migliore per tutti".

"Un processo che fa crescere l’umanizzazione integrale e la cultura dell’incontro e della relazione; questo è il modo cristiano di promuovere il bene comune, la gioia di vivere. E qui convergono fede e ragione, la dimensione religiosa con i diversi aspetti della cultura umana: arte, scienza, lavoro, letteratura… Il cristianesimo unisce trascendenza e incarnazione; per la capacità di rivitalizzare sempre il pensiero e la vita, di fronte alla minaccia della frustrazione e del disincanto che possono invadere i cuori e si diffondono nelle strade".

Un secondo elemento, la responsabilità sociale "richiede - ha spiegato il Pontefice - un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica. Siamo responsabili della formazione di nuove generazioni, di aiutarle ad essere capaci nell'economia e nella politica, e ferme sui valori etici. Il futuro esige oggi l'opera di riabilitare la politica, riabilitare la politica, che è una delle forme più alte della carità. Il futuro esige anche una visione umanista dell'economia e una politica che realizzi sempre più e meglio la partecipazione della gente, eviti gli élitarismi e sradichi la povertà. Che nessuno sia privo del necessario e che a tutti sia assicurata dignità, fratellanza e solidarietà: questa è la strada proposta. Già ai tempi del profeta Amos, era molto frequente l’avvertimento di Dio: 'Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali […] calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri'. Le grida che chiedono giustizia continuano ancor oggi".

"Chi ha un ruolo di guida, permettetemi che dica, chi la vita ha unto come guida, deve avere obiettivi concreti e ricercare i mezzi specifici per raggiungerli, ma anche ci può essere il pericolo della disillusione, dell’amarezza, dell’indifferenza, quando le aspirazioni non si realizzano. Qui faccio appello alla dinamica della speranza che ci spinge ad andare sempre oltre, a impiegare tutte le energie e le capacità in favore delle persone per cui si opera, accettando i risultati e creando condizioni per scoprire nuovi percorsi, donandosi anche senza vedere risultati, ma mantenendo viva la speranza, con quella costanza e coraggio che nascono dall'accettazione della propria vocazione di guida e di dirigente".

"È proprio della leadership scegliere la più giusta delle opzioni dopo averle considerate partendo dalla propria responsabilità e dall’interesse del bene comune; per questa strada si va al centro dei mali della società e per vincerli anche con l’audacia di azioni coraggiose e libere. È nostra responsabilità, pur sempre limitata, questa comprensione di tutta la realtà (...) per prendere decisioni nel momento presente, ma allargando lo sguardo verso il futuro, riflettendo sulle conseguenze delle decisioni. Chi agisce responsabilmente colloca la propria azione davanti ai diritti degli altri e davanti al giudizio di Dio. Questo senso etico appare oggi come una sfida storica senza precedenti, dobbiamo cercarlo, dobbiamo inserirlo nella stessa società. Oltre alla razionalità scientifica e tecnica, nella situazione attuale si impone il vincolo morale con una responsabilità sociale e profondamente solidale".

Infine Papa Francesco si è soffermato su un aspetto che considera fondamentale per affrontare il presente: il dialogo costruttivo. "Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni, il dialogo nel popolo, perché tutti siamo popolo, la capacità di dare e ricevere, rimanendo aperti alla verità. Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali (...). È impossibile immaginare un futuro per la società senza un forte contributo di energie morali in una democrazia che rimanga chiusa nella pura logica o nel mero equilibrio di rappresentanza di interessi costituiti. Considero anche fondamentale in questo dialogo il contributo delle grandi tradizioni religiose, che svolgono un fecondo ruolo di lievito della vita sociale e di animazione della democrazia. Favorevole alla pacifica convivenza tra religioni diverse è la laicità dello Stato, che, senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza della dimensione religiosa nella società, favorendone le sue espressioni più concrete".

"Quando i leader dei diversi settori mi chiedono un consiglio - ha detto Papa Francesco - , la mia risposta sempre è la stessa: dialogo, dialogo, dialogo. L'unico modo di crescere per una persona, una famiglia, una società, l'unico modo per far progredire la vita dei popoli è la cultura dell'incontro, una cultura in cui tutti hanno qualcosa di buono da dare e tutti possono ricevere qualcosa di buono in cambio. (...) Questo atteggiamento aperto, disponibile e senza pregiudizi, lo definirei come 'umiltà sociale che è ciò che favorisce il dialogo. Solo così può crescere una buona intesa fra le culture e le religioni, la stima delle une per le altre senza precomprensioni gratuite e in un clima di rispetto per i diritti di ciascuna. Oggi, o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell'incontro, o tutti perdiamo, tutti pe4rdiamo. Per di qui va il cammino fecondo".

Al termine il Papa si è rivolto ai presenti pregandoli di accogliere le sue "parole come espressione della mia sollecitudine di Pastore di Chiesa e del rispetto e affetto che nutro per il popolo brasiliano. La fraternità tra gli uomini e la collaborazione per costruire una società più giusta non sono sogno fantasioso, ma il risultato di uno sforzo concertato di verso il bene comune. Vi incoraggio in questo vostro impegno per il bene comune, che richiede da parte di tutti saggezza, prudenza e generosità".

Concluso il suo discorso il Pontefice ha salutato personalmente i venti rappresentanti delle varie categorie presenti, di cui sei delegati continentali del Corpo Diplomatico. Infine il Papa si è diretto in auto al Complesso São Joaquim, sede dell'Arcivescovado di Rio de Janeiro per il pranzo con i Cardinali e i Vescovi brasiliani.

FRANCESCO: SERVE UNA CHIESA CHE SI PONGA IN CAMMINO CON LA GENTE

Città del Vaticano, 28 luglio 2013 (VIS). Alle 13:00 di ieri, sabato 27 luglio, il Papa ha avuto un incontro con i Cardinali, con la Presidenza della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile e con i Vescovi brasiliani nella sede dell'Arcivescovado di Rio de Janeiro. L'Incontro è stato preceduto da un pranzo. La Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) è la più numerosa al mondo, conta 275 Circoscrizioni ecclesiastiche di cui 44 Diocesi Metropolitane, 213 Diocesi, 3 Eparchie, 11 Prelature, 1 Esarcato, un Ordinariato per fedeli di rito orientale senza Ordinario proprio, un Ordinariato Militare ed un'Amministrazione Apostolica personale. I Vescovi sono 459, i Cardinali 9, fra i quali cinque elettori. Il Presidente della CNBB è il Cardinale Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di Aparecida.

Di seguito riportiamo un'ampia sintesi del discorso pronunciato dal Papa:

1. Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa

In Aparecida, Dio ha offerto al Brasile la sua propria Madre. Ma, in Aparecida, Dio ha dato anche una lezione su Se stesso, circa il suo modo di essere e di agire. Una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, e che è nel DNA di Dio. C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida; un insegnamento che né la Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso devono dimenticare. All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro bisogni, anche oggi. (...) Prima c’è la fatica, forse la stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote.

Poi, quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, chissà quando non Lo si aspettava più. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché Dio è sorpresa: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza. Ecco allora l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che era spezzato riprende l’unità. Il Brasile coloniale era diviso dal muro vergognoso della schiavitù. La Madonna Aparecida si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori.... (...) In Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di riconciliazione.

I pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare. C’è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un mistero, come parti di un mosaico, che andiamo incontrando. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa. Poi, i pescatori portano a casa il mistero. La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto".

I pescatori (...) rivestono il mistero della Vergine pescata, come se lei avesse freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica. I pescatori coprono quel mistero della Vergine con il manto povero della loro fede. Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata; si riuniscono intorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza e le affidano le loro cause. Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza.

C’è da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo di missione, di Chiesa missionaria. Penso ai pescatori che chiamano i loro vicini per vedere il mistero della Vergine. Senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento.

La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché sempre è Lui che agisce. (...) Il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti.

Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non possono darsi da sé, cioè Dio. A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile 'pescare' Dio nelle acque profonde del suo Mistero. Un ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio. La strada che univa Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas Gerais, le miniere molto ambite dalle Corti europee: un crocevia del Brasile Coloniale. Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può dimenticare tale vocazione inscritta in sé fin dal suo primo respiro: essere capace di sistole e diastole, di raccogliere e diffondere.

2. L’apprezzamento per il percorso della Chiesa in Brasile

I Vescovi di Roma hanno avuto sempre il Brasile e la sua Chiesa nel loro cuore. (...) Oggi, vorrei riconoscere il lavoro senza risparmio di voi Pastori, nelle vostre Chiese. Penso ai Vescovi nelle foreste, salendo e scendendo i fiumi, nelle aree semiaride, nel Pantanal, nella pampa, nelle giungle urbane delle megalopoli. Amate sempre, con totale dedizione il vostro gregge! Ma penso anche a tanti nomi e tanti volti, che hanno lasciato impronte incancellabili nel cammino della Chiesa in Brasile, facendo toccare con mano la grande bontà del Signore verso questa Chiesa. (...) La Chiesa in Brasile ha ricevuto e applicato con originalità il Concilio Vaticano II e il percorso realizzato, pur avendo dovuto superare certe malattie infantili, ha portato ad una Chiesa gradualmente più matura, aperta, generosa, missionaria. Oggi siamo in un momento nuovo. Come si è bene espresso il Documento di Aparecida: non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca. Allora, oggi è sempre urgente domandarci: che cosa chiede Dio a noi? A questa domanda vorrei tentare di offrire qualche linea di risposta.

3. L’icona di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro

Anzitutto non bisogna cedere alla paura di cui parlava il Beato John Henry Newman: "Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia" Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti.

Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus. I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno. Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.

Di fronte a questa situazione che cosa fare? Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte (...). Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso.

La globalizzazione implacabile, e l'intensa urbanizzazione spesso selvagge, hanno promesso molto. Tanti si sono innamorati dalle loro potenzialità e in esse c’è qualcosa di veramente positivo, come, per esempio, la diminuzione delle distanze, l'avvicinamento tra le persone e le culture, la diffusione dell'informazione e dei servizi. Ma, dall'altro lato, molti vivevano i loro effetti negativi senza rendersi conto di come essi pregiudicano la propria visione dell'uomo e del mondo, generando maggiore disorientamento, e un vuoto che non riescono a spiegare. Alcuni di questi effetti sono la confusione circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell'esperienza di appartenere a un "nido", la mancanza di un luogo e di legami profondi.

E siccome non c'è chi li accompagni e mostri con la propria vita il vero cammino, molti hanno cercato scorciatoie, perché appare troppo alta la “misura” della Grande Chiesa. Ci sono anche quelli che riconoscono l'ideale dell'uomo e di vita proposto dalla Chiesa, ma non hanno l'audacia di abbracciarlo. Pensano che questo ideale sia troppo grande per loro, sia fuori delle loro possibilità; la meta a cui tendere è irraggiungibile. Tuttavia non possono vivere senza avere almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che sembra troppo alto e lontano. Con la disillusione nel cuore, vanno alla ricerca di qualcosa che li illuda ancora una volta, o si rassegnano ad una adesione parziale, che, in definitiva, non riesce a dare pienezza alla loro vita. Il grande senso di abbandono e di solitudine, di non appartenenza neanche a se stessi che spesso emerge da questa situazione, è troppo doloroso per essere messo a tacere. C’è bisogno di uno sfogo e allora resta la via del lamento. Ma anche il lamento diventa a sua volta come un boomerang che torna indietro e finisce per aumentare l’infelicità. Poca gente è ancora capace di ascoltare il dolore; bisogna almeno anestetizzarlo.

Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.

Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza? Tanti se ne sono andati poiché è stato loro promesso qualcosa di più alto, qualcosa di più forte, qualcosa di più veloce. Ma c’è qualcosa di più alto dell’amore rivelato a Gerusalemme? Nulla è più alto dell’abbassamento della Croce, poiché lì si raggiunge veramente l’altezza dell’amore! Siamo ancora in grado di mostrare questa verità a coloro che pensano che la vera altezza della vita sia altrove? Si conosce qualcosa di più forte della potenza nascosta nella fragilità dell’amore, del bene, della verità, della bellezza?

La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. (...). Serve una Chiesa che torni a portare calore, ad accendere il cuore. Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo.

4. Le sfide della Chiesa in Brasile

La priorità della formazione: Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici. (...) È importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità. Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale. Cari Fratelli nell’Episcopato, bisogna avere il coraggio di una revisione a fondo delle strutture di formazione e di preparazione del clero e del laicato della Chiesa che è in Brasile. (...) I Vescovi non possono delegare tale compito. Voi non potete delegare tale compito, ma assumerlo come qualcosa di fondamentale per il cammino delle vostre Chiese.

Collegialità e solidarietà della Conferenza Episcopale. (...) È importante ricordare Aparecida, il metodo di raccogliere la diversità. Non tanto diversità di idee per produrre un documento, ma varietà di esperienze di Dio per mettere in moto una dinamica vitale. (...) Serve, allora, una valorizzazione crescente dell’elemento locale e regionale. Non è sufficiente la burocrazia centrale, ma bisogna far crescere la collegialità e la solidarietà, sarà una vera ricchezza per tutti.

Stato permanente di missione e conversione pastorale.

(...) Sulla missione è da ricordare che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità. Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. (...) Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore. Nella missione, anche continentale, è molto importante rinforzare la famiglia, che rimane cellula essenziale per la società e per la Chiesa; i giovani, che sono il volto futuro della Chiesa; le donne, che hanno un ruolo fondamentale nel trasmettere la fede e costituiscono una forza quotidiana in una società che la porti avanti a la rinnovi. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità. Aparecida sottolinea anche la vocazione e la missione dell'uomo nella famiglia, nella Chiesa e nella società, come padri, lavoratori e cittadini. Tenetelo in seria considerazione!

Il compito della Chiesa nella società

Nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele. La Chiesa afferma il diritto di servire l’uomo nella sua interezza, dicendogli quello che Dio ha rivelato circa l’uomo e la sua realizzazione, ed essa desidera rendere presente quel patrimonio immateriale senza il quale la società si sfalda (...). La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa la fiamma della libertà e dell’unità dell’uomo. Educazione, salute, pace sociale sono le urgenze brasiliane. La Chiesa ha una parola da dire sui questi temi, perché per rispondere adeguatamente a tali sfide non sono sufficienti soluzioni meramente tecniche, ma bisogna avere una sottostante visione dell’uomo, della sua libertà, del suo valore, della sua apertura al trascendente. E voi, (...) non abbiate timore di offrire (...) questa parola "incarnata" anche con la testimonianza.

L’Amazzonia come cartina di tornasole, banco di prova per la Chiesa e la società brasiliane

(...) La Chiesa è in Amazzonia non come chi ha le valigie in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto. La Chiesa è presente in Amazzonia sin dall’inizio con missionari, congregazioni religiose, sacerdoti, laici e vescovi, e tuttora è presente e determinante per il futuro dell’area. (...) Vorrei invitare tutti a riflettere su quello che Aparecida ha detto sull’Amazzonia, anche il forte richiamo al rispetto e alla custodia dell'intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino.

(...) Cari Confratelli, ho cercato di offrivi in modo fraterno delle riflessioni e delle linee di lavoro in una Chiesa come quella in Brasile che è un grande mosaico di piccole pietre, di immagini, di forme, di problemi, di sfide, ma che proprio per questo è una enorme ricchezza. La Chiesa non è mai uniformità, ma diversità che si armonizzano nell’unità e questo vale in ogni realtà ecclesiale.


IL PAPA ESORTA A "SUDARE LA CAMICIA" COME AUTENTICI ATLETI DI CRISTO

Città del Vaticano, 28 luglio 2013 (VIS). Nel tardo pomeriggio di ieri il Santo Padre si è recato a Copacabana dove si è tenuta la Veglia di Preghiera con i giovani. La Liturgia della Parola ha avuto inizio con diverse testimonianze e domande che i giovani hanno posto al Santo Padre.

Al termine della Veglia il Papa ha indirizzato un breve discorso ai quasi due milioni di giovani ai quali ha ricordato la storia di San Francesco d'Assisi che dà "il suo contributo per la vita della Chiesa; si trattava di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo. Anche oggi - ha detto il Papa - il Signore continua ad avere bisogno di voi giovani per la sua Chiesa. Anche oggi chiama ciascuno di voi a seguirlo nella sua Chiesa e ad essere missionari".

A causa del maltempo, la Veglia di Preghiera che avrebbe dovuto tenersi nel "Campus Fidei" di Guaratiba, si è tenuta a Copacabana. Prendendo spunto da ciò, Papa Francesco ha esortato a ben comprendere che: "Non voleva il Signore dirci che il vero campo della fede, il vero 'Campus Fidei' non è un luogo geografico ma siamo noi?". Con questo interrogativo il Papa ha introdotto nel suo discorso tre immagini di "campo", che possono aiutare - ha detto - "a capire meglio che cosa significa essere discepolo-missionario".

In primo luogo "Il campo come luogo in cui si semina". Il Papa ha ricordato la parabola di Gesù del buon seminatore. Alcuni semi cadono sulla strada, altri in mezzo ai sassi, altri tra le spine e non riescono a svilupparsi; ma altri cadono su terra buona e producono molto frutto. "Gesù stesso spiega il significato della parabola - ha detto il Papa - il seme è la Parola di Dio che è gettata nei nostri cuori. Tutti i giorni, ma oggi in modo particolare, Gesù semina. Quando accettiamo la Parola di Dio, allora siamo il Campus Fidei. Per favore lasciate che Cristo e la sua Parola entrino nella vostra vita, lasciate entrare il seme della parola di Dio.... lasciate che cresca. Dio fa di tutto perché possano germogliare e crescere!".

"Credo che con onestà possiamo chiederci: Quale terreno siamo o vogliamo essere? Forse a volte siamo come la strada: ascoltiamo il Signore, ma non cambia nulla nella vita perché ci lasciamo intontire da tanti richiami superficiali che ascoltiamo; o come il terreno sassoso: accogliamo con entusiasmo Gesù, ma siamo incostanti e davanti alle difficoltà non abbiamo il coraggio di andare contro corrente; o siamo come il terreno con le spine: le cose, le passioni negative soffocano in noi le parole del Signore. Ho nel mio cuore due atteggiamenti: uno di stare bene con Dio e una di stare bene con il diavolo. Una di ricevere il seme di Gesù e nello stesso tempo bagnare le erbacce... Che nasce nel mio cuore?".

"Oggi, però, sono certo - ha ribadito il Papa - che il seme cade in terra buona .... No, padre, io non sono terra buona.... sono pieno di pietre, di spine. Può succedere, ma cerca un po' di buona terra nel tuo cuore e lascia che i semi buoni cadano in quel pezzettino di quella terra e vedrai come questi porteranno buoni frutti. Voi volete essere terreno buono, cristiani non part-time, non 'inamidati', di facciata, ma autentici. Sono certo che non volete vivere nell'illusione di una libertà che si lascia trascinare dalle mode e dalle convenienze del momento. So che voi puntate in alto, a scelte definitive che diano senso pieno alla vita. In silenzio lasciamo entrare il seme di Gesù. Gesù è in grado di offrirvi questo. Lui è 'la via, la verità e la vita'. Fidiamoci di Lui. Lasciamoci guidare da Lui!".

In secondo luogo: "Il campo come luogo di allenamento. Gesù ci chiede di seguirlo per tutta la vita, ci chiede di essere suoi discepoli, di 'giocare nella sua squadra'. Penso che la maggior parte di voi ami lo sport. E qui in Brasile, come in altri Paesi, il calcio è una passione nazionale. Ebbene, che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? Deve allenarsi, e allenarsi molto! Così è nella nostra vita di discepoli del Signore. (...) Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del Mondo! Ci offre la possibilità di una vita feconda e felice e ci offre anche un futuro con Lui che non avrà fine, la vita eterna. - ha assicurato il Santo Padre - Ma ci chiede di pagare un biglietto. E il biglietto è allenarci per 'essere in forma' (...) testimoniando la nostra fede. Come? Attraverso il dialogo con Lui: la preghiera".

Papa Francesco ha posto diverse domande ai giovani e ha chiesto che rispondessero in silenzio nel loro cuore. "Io prego? Lascio che lo Spirito Santo parli nel mio cuore? Chiedo a Gesù cosa vuoi che faccio? Questo è allenarsi. Chiedete a Gesù, parlate con Lui e se fate qualche errore qualcosa che non sta bene, non abbiate paura, parlate sempre con Gesù nelle buone e nelle cattive, questo è la preghiera. E in questo modo vi allenate nel dialogo con Gesù in questo discepolato missionario. E anche attraverso i sacramenti che fanno crescere in noi la sua presenza. Attraverso l'amore fraterno... a tutti, senza escludere e senza emarginare. Questi sono gli allenamenti per seguire Gesù: la preghiera, i sacramenti e l'aiuto agli altri, il servizio agli altri".

Infine "Il campo come cantiere. Quando il nostro cuore è una terra buona che accoglie la Parola di Dio, quando 'si suda la camicia' cercando di vivere da cristiani, noi sperimentiamo qualcosa di grande: non siamo mai soli, siamo parte di una famiglia di fratelli che percorrono lo stesso cammino: siamo parte della Chiesa; anzi, diventiamo costruttori della Chiesa e protagonisti della storia. Ragazzi e ragazze vi prego non mettetevi in coda nella storia, siate i protagonisti, fate passi avanti, costruite un mondo migliore".

Francesco ha ricordato che "Nella Chiesa di Gesù siamo noi le pietre vive, e Gesù ci chiede di costruire la sua Chiesa; e non come una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone. Ci chiede che la sua Chiesa vivente sia così grande da poter accogliere l’intera umanità, sia la casa per tutti!"

"Per favore - ha detto il papa ai giovani - non lasciate che gli altri siano i protagonisti del cambiamenti. Il futuro è nelle vostre mani. Continuate superando l'apatia e dando una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche nelle diverse parti del mondo. Vi chiedo: siate costruttori del futuro e mettetevi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, non guardate la vita dalla finestra, lanciatevi. Gesù non è rimasto alla finestra, si è lanciato nella vita...da dove iniziamo? Una volta chiesero a Madre Teresa di Calcutta che cosa doveva cambiare nella Chiesa, rispose: 'Tu ed io'! ... Anche io oggi rubo le parole a Madre Teresa e vi dico: voi ed io".

"Cari amici - ha detto il Papa ai giovani - non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore. Alziamo lo sguardo verso la Madonna. Essa aiuta a seguire Gesù, ci dà l'esempio con il suo 'sì' a Dio: 'Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola'. Lo diciamo anche noi, insieme con Maria, a Dio: avvenga per me secondo la tua parola. Così sia!".

Terminato il discorso di Papa Francesco, i diaconi hanno portato in Processione il Santissimo Sacramento. Dopo l'Adorazione Eucaristica e la preghiera dei giovani nelle diverse lingue, la celebrazione si è conclusa con la recita del Salve Regina.

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