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Il Vatican Information Service (VIS), istituito nell'ambito della Sala Stampa della Santa Sede, è un bollettino telematico che diffonde notizie relative all'attività magistrale e pastorale del Santo Padre e della Curia Romana...

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lunedì 26 maggio 2014

PAPA FRANCESCO ALLA SPIANATA DELLE MOSCHEE: NESSUNO STRUMENTALIZZI PER LA VIOLENZA IL NOME DI DIO!

Città del Vaticano, 26 maggio 2014 (VIS). Questa mattina il Santo Padre si è recato alla Spianata delle Moschee, una spianata artificiale di forma trapezoidale che occupa un sesto della superficie della Città Vecchia. L'area è tre volte sacra: gli ebrei la ritengono il luogo dell'episodio di Abramo e di Isacco e il sito del Tempio di Salomone; i musulmani la considerano la terza meta di pellegrinaggio, dopo La Mecca e Medina; per i cristiani, infine, è il luogo della profezia di Cristo sulla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Sull'area sorgono due dei più importanti monumenti islamici: la Moschea Al-Aqsa e la Cupola della Roccia.

La vettura del Papa entrata dalla Porta al-Asbat, si è fermata all'ingresso della Cupola della Roccia dove erano ad attenderlo il Gran Mùfti Muhammad Ahmad Husayn, suprema autorità giuridico-religiosa di Gerusalemme e del popolo arabo musulmano in Palestina, e il Direttore Generale del Consiglio del "Waqf" (Beni appartenenti agli enti religiosi islamici). Dopo una breve visita il Papa è stato accompagnato all'edificio del Gran Consiglio, al-Kubbah al-Nahawiyya, dove lo attendevano importanti esponenti della Comunità musulmana.

"Ponendomi sulle orme dei miei Predecessori, e in particolare - ha detto il Papa - nella luminosa scia del viaggio di Paolo VI di cinquant’anni fa, il primo di un Papa in Terra Santa, ho desiderato tanto venire come pellegrino per visitare i luoghi che hanno visto la presenza terrena di Gesù Cristo. Ma questo mio pellegrinaggio non sarebbe completo se non contemplasse anche l’incontro con le persone e le comunità che vivono in questa Terra, e pertanto sono particolarmente lieto di ritrovarmi con voi, fedeli musulmani, fratelli cari. (...) Musulmani, Cristiani ed Ebrei riconoscono in Abramo, seppure ciascuno in modo diverso, un padre nella fede e un grande esempio da imitare. Egli si fece pellegrino, lasciando la propria gente, la propria casa, per intraprendere quell’avventura spirituale alla quale Dio lo chiamava".

"Un pellegrino è una persona che si fa povera, che si mette in cammino, è protesa verso una meta grande e sospirata, vive della speranza di una promessa ricevuta. Questa fu la condizione di Abramo, questa dovrebbe essere anche il nostro atteggiamento spirituale. Non possiamo mai ritenerci autosufficienti, padroni della nostra vita; non possiamo limitarci a rimanere chiusi, sicuri nelle nostre convinzioni. Davanti al mistero di Dio siamo tutti poveri, sentiamo di dover essere sempre pronti ad uscire da noi stessi, docili alla chiamata che Dio ci rivolge, aperti al futuro che Lui vuole costruire per noi".

"In questo nostro pellegrinaggio terreno non siamo soli - ha continuato il Papa - incrociamo il cammino di altri fedeli, a volte condividiamo con loro un tratto di strada, a volte viviamo insieme una sosta che ci rinfranca. Tale è l’incontro di oggi, e lo vivo con gratitudine particolare: è una gradita sosta comune, resa possibile dalla vostra ospitalità, in quel pellegrinaggio che è la vita nostra e delle nostre comunità. Viviamo una comunicazione e uno scambio fraterni che possono darci ristoro e offrirci nuove forze per affrontare le sfide comuni che ci si pongono innanzi. Non possiamo dimenticare, infatti, che il pellegrinaggio di Abramo è stato anche una chiamata per la giustizia: Dio lo ha voluto testimone del suo agire e suo imitatore. Anche noi vorremmo essere testimoni dell’agire di Dio nel mondo e per questo, proprio in questo nostro incontro, sentiamo risuonare in profondità la chiamata ad essere operatori di pace e di giustizia, ad invocare nella preghiera questi doni e ad apprendere dall’alto la misericordia, la grandezza d’animo, la compassione".
Infine il Papa ha lanciato "un accorato appello a tutte le persone e le comunità che si riconoscono in Abramo: rispettiamoci ed amiamoci gli uni gli altri come fratelli e sorelle! - ha detto - Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio! Lavoriamo insieme per la giustizia e per la pace! Salam!".

PAPA FRANCESCO AL "MURO DEL PIANTO"

Città del Vaticano, 26 maggio 2014 (VIS). Questa mattina alle 8:00 il Papa, proveniente dalla Spianata delle Moschee, ha raggiunto il Muro Occidentale di Gerusalemme o "Muro del Pianto". La parete di quindici metri di altezza, è un luogo di culto centrale per l'ebraismo, per ragioni storiche e religiose, con numerose usanze come quella di inserire tra le connessioni dei blocchi di pietra dei foglietti di carta su cui sono scritti voti e preghiere. Accolto dal Rabbino Capo che lo ha accompagnato in prossimità del Muro, il Santo Padre ha sostato da solo e si è raccolto in preghiera silenziosa per alcuni minuti. Quindi deponendo nel Muro Occidentale un foglietto con il Padre Nostro in lingua spagnola, ha detto queste parole: "Ho scritto il Padre Nostro di mio pugno nella lingua in cui l'ho imparato da mia madre".

Successivamente il Papa si è recato al Monte Herzl e con l'aiuto di un ragazzo e di una ragazza cristiani ha deposto una corona di fiori nel cimitero nazionale di Israele, alla Tomba di Theodor Herzl, fondatore del Movimento sionista. Cambiando il suo itinerario, Papa Francesco ha sostato davanti a una lapide in memoria delle vittime del terrorismo in Israele.

Quindi in autovettura il Papa ha raggiunto il Memoriale di Yad Vashem, monumento eretto dallo Stato di Israele nel 1953 in memoria dei sei milioni di ebrei vittime dell'Olocausto. Insieme al Presidente della Fondazione, il Papa ha percorso a piedi il perimetro del Mausoleo fino all'ingresso d'onore della Sala della Rimembranza, dove lo attendevano il Presidente dello Stato di Israele Shimon Perez., il Primo Ministro e il Rabbino Presidente del Consiglio di Yad Vashem. All'interno della Sala della Rimembranza è situato un Monumento alla Memoria dell'Olocausto, con una fiamma perenne, proprio davanti alla cripta contenente alcune urne con le ceneri di vittime dei vari campi di concentramento. Il Papa ha acceso la fiamma del ricordo, ha depositato sul Mausoleo una corona di fiori gialli e bianchi, e prima di pronunciare il suo discorso, ha letto l'Antico Testamento. Successivamente Papa Francesco ha letto una riflessione sulla forza e sul dolore del male e sulle "strutture del peccato", contrarie alla dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.

'Adamo, dove sei?' Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo, memoriale della 'Shoah', sentiamo risuonare questa domanda di Dio: 'Adamo, dove sei?'. In questa domanda c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio. Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: “Dove sei?”, qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo… Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso? Non è la polvere del suolo, da cui sei tratto. La polvere del suolo è cosa buona, opera delle mie mani. Non è l’alito di vita che ho soffiato nelle tue narici. Quel soffio viene da me, è cosa molto buona. No, questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio  a te stesso, perché ti sei eretto a dio. Oggi torniamo ad ascoltare qui la voce di Dio: “Adamo, dove sei?”. Dal suolo si leva un gemito sommesso: Pietà di noi, Signore! A te, Signore nostro Dio, la giustizia, a noi il disonore sul volto, la vergogna. Ci è venuto addosso un male quale mai era avvenuto sotto la volta del cielo. Ora, Signore, ascolta la nostra preghiera, ascolta la nostra supplica, salvaci per la tua misericordia. Salvaci da questa mostruosità. Signore onnipotente, un’anima nell’angoscia grida verso di te. Ascolta, Signore, abbi pietà! Abbiamo peccato contro di te. Tu regni per sempre. Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai più! “Adamo, dove sei?”.
Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia".

Infine il Papa ha salutato alcuni sopravvissuti all'Olocausto ed ha apposto la sua firma nel Libro d'Onore dello Yad Vashem, dove ha scritto: "Con la vergogna di ciò che l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è stato capace di fare. Con la vergogna dell'uomo che si è fatto padrone del male; con la vergogna dell'uomo, che pensando di essere dio, ha sacrificato a sé stesso i suoi fratelli. Mai più!! Mai più!!".

Dopo il saluto di un coro e delle Autorità che lo avevano accolto all'arrivo, Papa Francesco si è recato in autovettura al Centro Heichal Shlomo.

AL GRAN RABBINATO DI ISRAELE: NOSTRO CAMMINO DI AMICIZIA RAPPRESENTA UNO DEI FRUTTI DEL CONCILIO VATICANO II

Città del Vaticano, 26 maggio 2014 (VIS). Il Centro "Hechal Shlomo", sede del Gran Rabbinato di Israele, è stato lo scenario della visita di cortesia di Papa Francesco al Gran Rabbino Askenazi Yona Metzger ed al Gran Rabbino Sefardita Shlomo Amar. Entrambi hanno incontrato Papa Benedetto XVI durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2009.

Dopo un breve colloquio privato con i due Gran Rabbini, Papa Francesco si è rivolto alle personalità presenti nello "Hechal Shlomo" esprimendo la sua gioia per la loro calorosa accoglienza. "Come sapete - ha ricordato Papa Francesco - fin dal tempo in cui ero Arcivescovo di Buenos Aires ho potuto contare sull’amicizia di molti fratelli ebrei".

"Insieme ad essi abbiamo organizzato fruttuose iniziative di incontro e dialogo, e con loro ho vissuto anche momenti significativi di condivisione sul piano spirituale. Nei primi mesi di pontificato ho potuto ricevere diverse organizzazioni ed esponenti dell’ebraismo mondiale. Come già per i miei predecessori, queste richieste di incontro sono numerose. Esse si aggiungono alle tante iniziative che hanno luogo su scala nazionale o locale e tutto ciò attesta il desiderio reciproco di meglio conoscerci, di ascoltarci, di costruire legami di autentica fraternità".

"Questo cammino di amicizia - ha proseguito il Pontefice - rappresenta uno dei frutti del Concilio Vaticano II, in particolare della Dichiarazione Nostra aetate, che tanto peso ha avuto e di cui ricorderemo nel prossimo anno il 50° anniversario. In realtà, sono convinto che quanto è accaduto negli ultimi decenni nelle relazioni tra ebrei e cattolici sia stato un autentico dono di Dio, una delle meraviglie da Lui compiute, per le quali siamo chiamati a benedire il suo nome: 'Rendete grazie al Signore dei Signori, / perché il suo amore è per sempre. / Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, / perché il suo amore è per sempre'".

"Un dono di Dio, che però non avrebbe potuto manifestarsi senza l’impegno di moltissime persone coraggiose e generose, sia ebrei che cristiani. Desidero in particolare fare menzione qui dell’importanza assunta dal dialogo tra il Gran Rabbinato d’Israele e la Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo. Un dialogo che, ispirato dalla visita del santo Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa, prese inizio nel 2002 ed è ormai al suo dodicesimo anno di vita. Mi piace pensare, con riferimento al Bar Mitzvah della tradizione ebraica, che esso sia ormai prossimo all’età adulta: sono fiducioso che possa continuare ed abbia un futuro luminoso davanti a sé".

"Non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come Cristiani e come Ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce. Si tratta di un legame che viene dall’alto, che sorpassa la nostra volontà e che rimane integro, nonostante tutte le difficoltà di rapporti purtroppo vissute nella storia. Da parte cattolica vi è certamente l’intenzione di considerare appieno il senso delle radici ebraiche della propria fede. Confido, con il vostro aiuto, che anche da parte ebraica si mantenga, e se possibile si accresca, l’interesse per la conoscenza del cristianesimo, anche in questa terra benedetta in cui esso riconosce le proprie origini e specialmente tra le giovani generazioni".

"La conoscenza reciproca del nostro patrimonio spirituale - ha concluso il Pontefice - l’apprezzamento per ciò che abbiamo in comune e il rispetto in ciò che ci divide, potranno fare da guida per l’ulteriore futuro sviluppo delle nostre relazioni, che affidiamo alle mani di Dio. Insieme potremo dare un grande contributo per la causa della pace; insieme potremo testimoniare, in un mondo in rapida trasformazione, il significato perenne del piano divino della creazione; insieme potremo contrastare con fermezza ogni forma di antisemitismo e le diverse altre forme di discriminazione. Il Signore ci aiuti a camminare con fiducia e fortezza d’animo nelle sue vie. Shalom!".

INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELLO STATO DI ISRAELE: GERUSALEMME SIA VERAMENTE LA CITTÀ DELLA PACE

Città del Vaticano, 26 maggio 2014 (VIS). Questa mattina nel Palazzo Presidenziale si è svolto l'incontro di Papa Francesco con il Presidente dello Stato d'Israele Shimon Perez. È stato un incontro privato molto cordiale nel quale il Santo Padre ha detto al Presidente di voler aggiungere alle beatitudini una ulteriore beatitudine: Beato colui che entra in casa di un uomo saggio e buono. Successivamente il Pontefice e il Presidente hanno raggiunto il giardino del Palazzo per piantare insieme un albero di ulivo, simbolo di pace. Quindi sul podio si è svolto un incontro pubblico, alla presenza di alcune centinaia di bambini di diverse religioni.

"Le sono grato, Signor Presidente - ha detto Papa Francesco - per l’accoglienza riservatami e per le Sue gentili e sagge espressioni di saluto, e sono lieto di poterLa nuovamente incontrare qui a Gerusalemme, città che custodisce i Luoghi Santi cari alle tre grandi religioni che adorano il Dio che chiamò Abramo. I Luoghi Santi non sono musei o monumenti per turisti, ma luoghi dove le comunità dei credenti vivono la loro fede, la loro cultura, le loro iniziative caritative. Perciò vanno perpetuamente salvaguardati nella loro sacralità, tutelando così non solo l’eredità del passato ma anche le persone che li frequentano oggi e li frequenteranno in futuro. Che Gerusalemme sia veramente la Città della pace! Che risplendano pienamente la sua identità e il suo carattere sacro, il suo universale valore religioso e culturale, come tesoro per tutta l’umanità! Com’è bello quando i pellegrini e i residenti possono accedere liberamente ai Luoghi Santi e partecipare alle celebrazioni!"..

"Signor Presidente, Lei è noto come uomo di pace e artefice di pace - ha proseguito - Le esprimo la mia riconoscenza e la mia ammirazione per questo Suo atteggiamento. La costruzione della pace esige anzitutto il rispetto per la libertà e la dignità di ogni persona umana, che Ebrei, Cristiani e Musulmani credono ugualmente essere creata da Dio e destinata alla vita eterna. A partire da questo punto fermo che abbiamo in comune, è possibile perseguire l’impegno per una soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti. A questo riguardo rinnovo l’auspicio che si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo e che non ci si stanchi di perseguire la pace con determinazione e coerenza".

"Va respinto con fermezza - ha ribadito il Pontefice - tutto ciò che si oppone al perseguimento della pace e di una rispettosa convivenza tra Ebrei, Cristiani e Musulmani: il ricorso alla violenza e al terrorismo, qualsiasi genere di discriminazione per motivi razziali o religiosi, la pretesa di imporre il proprio punto di vista a scapito dei diritti altrui, l’antisemitismo in tutte le sue possibili forme, così come la violenza o le manifestazioni di intolleranza contro persone o luoghi di culto ebrei, cristiani e musulmani".

"Nello Stato d’Israele - ha ricordato il Papa - vivono e operano diverse comunità cristiane. Esse sono parte integrante della società e partecipano a pieno titolo delle sue vicende civili, politiche e culturali. I fedeli cristiani desiderano portare, a partire dalla propria identità, il loro contributo per il bene comune e per la costruzione della pace, come cittadini a pieno diritto che, rigettando ogni estremismo, si impegnano ad essere artefici di riconciliazione e di concordia. La loro presenza e il rispetto dei loro diritti – come del resto dei diritti di ogni altra denominazione religiosa e di ogni minoranza – sono garanzia di un sano pluralismo e prova della vitalità dei valori democratici, del loro reale radicamento nella prassi e nella concretezza della vita dello Stato".
"Signor Presidente - ha concluso il Papa parlando a braccio - Lei sa che io prego per lei ed io so che lei prega per me, e Le assicuro la mia continua preghiera per le Istituzioni e per tutti i cittadini d’Israele. Assicuro in modo particolare la mia costante supplica a Dio per l’ottenimento della pace e con essa dei beni inestimabili che le sono strettamente correlati, quali la sicurezza, la tranquillità di vita, la prosperità, e - quello che è più bello - la fratellanza. Rivolgo infine il mio pensiero a tutti coloro che soffrono per le conseguenze delle crisi ancora aperte nella regione medio-orientale, perché al più presto vengano alleviate le loro pene mediante l’onorevole composizione dei conflitti. Pace su Israele e in tutto il Medio Oriente! Shalom!".

Al termine dell'Incontro, il Papa si è diretto al Pontificio istituto "Notre Dame of Jerusalem Center" - un centro dei Padri Agostiniani dell'Assunzione di Francia (Assunzionisti) che accoglie i pellegrini in Terra Santa - considerato "luogo santo ecumenico" e prelatura territoriale, il cui Prelato è il Delegato Apostolico a Gerusalemme e in Palestina. Qui il Papa ha ricevuto in udienza privata il Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu.

ARRIVO DEL PAPA IN ISRAELE: ISRAELIANI E PALESTINESI VIVERE IN PACE E SICUREZZA ENTRO CONFINI INTERNAZIONALMENTE RICONOSCIUTI

Città del Vaticano, 25 maggio 2014 (VIS). Nel primo pomeriggio il Papa si è recato alla Basilica della Natività. Le prime notizie storiche sulla "caverna del presepio di Betlemme" risalgono ad Origene. Nel 326, l'imperatore Costantino fece costruire sul sito una basilica che ricopre la Grotta della Natività con il pavimento rialzato rispetto al terreno. Danneggiata dagli incendi e dalla rivolta dei Samaritani (529), venne restaurata verso il 540. Nel 614, i persiani di Cosroe II invasero la regione ma risparmiarono la Basilica per la presenza degli affreschi che rappresentavano i re Magi in costumi persiani. Nel 638, i musulmani entrarono a Betlemme che passò ai Crociati con l'ingresso di Tancredi nel 1099. Nel 1187 Saladino occupò Gerusalemme e Betlemme ma risparmiò il Santuario. Nel 1192, il vescovo di Salisbury, Hubert Valter, ottenne di ristabilire il culto latino in cambio del pagamento del tributo da parte dei fedeli. Nel 1347, i Francescani ottennero dagli ottomani di ufficiare nella Basilica e il possesso della Grotta e della Basilica. Nel secolo XVI iniziava il periodo delle contestazioni per il possesso del Santuario tra francescani e greci ortodossi, che cambiava mano a secondo del favore che godevano presso la Sublime Porta le nazioni che appoggiavano le due comunità. Con la sconfitta e l'espulsione dei Veneziani da Creta nel 1669, gli ortodossi furono autorizzati a prendere possesso della Grotta e della Basilica. Quest'ultima rimane tuttora di loro proprietà mentre la Grotta della Natività è tornata ai Francescani nel 1690. La Basilica di Santa Caterina, attigua alla Basilica della Natività, è la parrocchia dei latini di Betlemme.

La proprietà dei singoli Luoghi Santi è una vexata questio che oppone da secoli le comunità appartenenti alle tre religioni monoteiste di Terra Santa ed è un tema "caldo" persino per le cancellerie internazionali. Agli inizi del secolo XVII , la lotta tra le comunità bizantina e latina, già accesa, cominciò a subire gli alti e bassi della politica internazionale e delle relazioni tra le potenze dell'epoca: il Sultano di Istanbul che considerava i Luoghi Santi cristiani come proprietà dello Stato, le Repubbliche Marinare italiane che proteggevano i latini, e lo Zar di Russia, tradizionale protettore delle Chiese ortodosse. Alcuni santuari passano da una comunità all'altra, a volte solo in base alle somme di denaro offerte alla Sublime Porta. Nel 1850, una richiesta francese diretta al Sultano per definire la questione provoca un nuovo scontro con la Russia; Istanbul emana allora (1852) un decreto che sancisce il mantenimento della situazione vigente de facto nei vari santuari. Lo "Statu quo" ha congelato praticamente i reclami dei Francescani in merito agli espropri di cui erano stati vittime da secoli e che hanno comportato un caro prezzo in vite umane e in proprietà. Questo editto ottomano è in vigore a tutt'oggi e governa la situazione di alcuni santuari come la Grotta della Natività a Betlemme, il Cenacolo e il Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Recatosi in visita privata alla Grotta della Natività di Betlemme, accedendo attraverso un passaggio interno tra il convento "Casa Nova" e la Basilica greco-ortodossa, Papa Francesco si è raccolto alcuni momenti in preghiera. Quindi è ritornato al Convento "Casa Nova" attraverso lo stesso passaggio interno per una foto con i Frati e per uscire dove si trovava il corteo papale. Successivamente il Papa si è recato al "Phoenix Center" di Betlemme, che sorge all'interno del campo profughi di Dheisheh, costruito grazie ad un dono di Papa Wojtyla, che visitò il campo profughi durante il Pellegrinaggio giubilare dell'Anno 2000. Papa Francesco ha raggiunto il grande auditorium del centro dove alcune centinaia di bambini provenienti dai campi profughi di Dheisheh, Aida e Beit Jibrin, hanno eseguito canti di accoglienza. Un bambino e una bambina hanno consegnato al Papa alcuni disegni, lettere e lavori artigianali. Il Santo Padre ha pregato con i bambini e prima di impartire la sua Benedizione, ha ascoltato un bambino che ha letto una lettera: "Caro Papa Francesco, Siamo i figli della Palestina. Da 66 anni i nostri genitori subiscono l’occupazione. Abbiamo aperto i nostri occhi sotto questa occupazione e abbiamo visto la nakba negli occhi dei nostri nonni, quando hanno lasciato questo mondo. Vogliamo dire al mondo: basta sofferenze e umiliazioni!".

"Non lasciate mai che il passato determini la vostra vita - ha risposto il Papa - Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però, sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace! Con la pace, con il lavoro, con la dignità di far andare avanti la patria!". Infine il Papa ha raggiunto l'eliporto dove il Presidente dello Stato di Palestina si è congedato dal Pontefice, alla presenza della Guardia d'Onore.

Dopo mezz'ora di viaggio Papa Francesco è giunto all'aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv (Israele), dove è stato accolto dal Presidente della Repubblica di Israele Shimon Perez e dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu, dalle Autorità politiche, civili e religiose, dagli Ordinari di Terra Santa e da un gruppo di giovani con un coro. "Vengo pellegrino a 50 anni dallo storico viaggio del Papa Paolo VI - ha ricordato Papa Francesco - Da allora sono cambiate molte cose tra la Santa Sede e lo Stato di Israele: le relazioni diplomatiche, che ormai da un ventennio esistono tra noi, hanno favorito l’accrescersi di rapporti buoni e cordiali, come testimoniano i due Accordi già firmati e ratificati e quello in via di perfezionamento. In questo spirito rivolgo il mio saluto a tutto il popolo d’Israele ed auguro che si realizzino le sue aspirazioni di pace e prosperità".

"Sulle orme dei miei Predecessori sono giunto come pellegrino in Terra Santa, dove si è dispiegata una storia plurimillenaria e sono accaduti i principali eventi legati alla nascita e allo sviluppo delle tre grandi religioni monoteiste, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam; perciò essa è punto di riferimento spirituale per tanta parte dell’umanità. Auspico dunque - ha proseguito il Pontefice - che questa Terra benedetta sia un luogo in cui non vi sia alcuno spazio per chi, strumentalizzando ed esasperando il valore della propria appartenenza religiosa, diventa intollerante e violento verso quella altrui. Durante questo mio pellegrinaggio in Terra Santa visiterò alcuni luoghi tra i più significativi di Gerusalemme, città di valore universale. Gerusalemme significa 'città della pace'. Così la vuole Dio e così desiderano che sia tutti gli uomini di buona volontà. Ma purtroppo questa città è ancora tormentata dalle conseguenze di lunghi conflitti. Tutti noi sappiamo quanto sia urgente la necessità della pace, non solo per Israele, ma anche per tutta la regione. Si moltiplichino perciò gli sforzi e le energie allo scopo di giungere ad una composizione giusta e duratura dei conflitti che hanno causato tante sofferenze. In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico quanti sono investiti di responsabilità a non lasciare nulla di intentato per la ricerca di soluzioni eque alle complesse difficoltà, così che Israeliani e Palestinesi possano vivere in pace. Bisogna intraprendere sempre con coraggio e senza stancarsi la via del dialogo, della riconciliazione e della pace. Non ce n’è un’altra".

"Pertanto rinnovo l’appello che da questo luogo rivolse Benedetto XVI (2009): sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La 'soluzione di due Stati' diventi realtà e non rimanga un sogno".

"Un momento particolarmente toccante del mio soggiorno nel vostro Paese sarà la visita al Memoriale di 'Yad Vashem', a ricordo dei sei milioni di ebrei vittime della 'Shoah', tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa. Prego Dio che non accada mai più un tale crimine, di cui sono state vittime in primo luogo ebrei e anche tanti cristiani e altri. Sempre memori del passato, promuoviamo un’educazione in cui l’esclusione e lo scontro lascino il posto all’inclusione e all’incontro, dove non ci sia posto per l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli".

"Con cuore profondamente addolorato - ha detto il Santo Padre - penso a quanti hanno perso la vita nell'efferato attentato avvenuto ieri a Bruxelles. Non rinnovare la mia viva deplorazione per tale criminoso atto di odio antisemita, affido a Dio Misericordioso le vittime e invoco la guarigione per i feriti".

"La brevità del viaggio limita inevitabilmente le possibilità di incontro. Vorrei da qui salutare tutti i cittadini israeliani ed esprimere loro la mia vicinanza, in particolare a chi vive a Nazareth e in Galilea, dove sono presenti anche tante comunità cristiane". A conclusione del suo discorso il Papa si è rivolto ai Vescovi e ai fedeli cristiani incoraggiandoli "a proseguire con fiducia e speranza la loro serena testimonianza a favore della riconciliazione e del perdono, seguendo l’insegnamento e l’esempio del Signore Gesù, che ha dato la vita per la pace tra l’uomo e Dio, tra fratello e fratello. Siate fermento di riconciliazione, portatori di speranza, testimoni di carità. Sappiate che siete sempre nelle mie preghiere".

DICHIARAZIONE COMUNE DI PAPA FRANCESCO E DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I: LA RICERCA COMUNE NON CI ALLONTANA DALLA VERITÀ

Città del Vaticano, 25 maggio 2014 (VIS). Al termine della cerimonia di benvenuto all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, il Papa ha raggiunto in elicottero Gerusalemme dove, presso la Delegazione Apostolica, ha avuto un incontro privato con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, accompagnato da tre altri Dignitari. All'incontro erano presenti il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato e il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.

iI Patriarca Bartolomeo I, eletto 270° Arcivescovo di Costantinopoli, la Nuova Roma e Patriarca Ecumenico nel 1991, ha visitato Papa Benedetto XVI in Vaticano nel marzo 2008 e nello stesso anno ha partecipato alle celebrazioni per il secondo millennio della nascita di San Paolo. Il 19 marzo 2013 ha partecipato alla Messa di Inizio del Ministero Petrino di Papa Francesco ed è la prima volta, dal Grande Scisma del 1054, che un Patriarca ortodosso presenzia alla cerimonia di inaugurazione di un Pontefice romano.

Al termine dell'Incontro, Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo I, hanno firmato la seguente dichiarazione comune:

"1. Come i nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI ed il Patriarca Ecumenico Athenagoras, si incontrarono qui a Gerusalemme cinquant’anni fa, così anche noi, Papa Francesco e Bartolomeo, Patriarca Ecumenico, abbiamo voluto incontrarci nella Terra Santa, 'dove il nostro comune Redentore, Cristo Signore, è vissuto, ha insegnato, è morto, è risuscitato ed è asceso al cielo, da dove ha inviato lo Spirito Santo sulla Chiesa nascente' (Comunicato congiunto di Papa Paolo VI e del Patriarca Athenagoras, pubblicato dopo l’incontro del 6 gennaio 1964). Questo nostro incontro, un ulteriore ritrovo dei Vescovi delle Chiese di Roma e di Costantinopoli, fondate rispettivamente dai due fratelli Apostoli Pietro e Andrea, è per noi fonte di intensa gioia spirituale e ci offre l’opportunità di riflettere sulla profondità e sull’autenticità dei legami esistenti tra noi, frutto di un cammino pieno di grazia lungo il quale il Signore ci ha guidato, a partire da quel giorno benedetto di cinquant’anni fa.

2. Il nostro incontro fraterno di oggi è un nuovo, necessario passo sul cammino verso l’unità alla quale soltanto lo Spirito Santo può guidarci: quella della comunione nella legittima diversità. Ricordiamo con viva gratitudine i passi che il Signore ci ha già concesso di compiere. L’abbraccio scambiato tra Papa Paolo VI ed il Patriarca Athenagoras qui a Gerusalemme, dopo molti secoli di silenzio, preparò la strada ad un gesto di straordinaria valenza, la rimozione dalla memoria e dal mezzo della Chiesa delle sentenze di reciproca scomunica del 1054. Seguirono scambi di visite nelle rispettive sedi di Roma e di Costantinopoli, frequenti contatti epistolari e, successivamente, la decisione di Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca Dimitrios, entrambi di venerata memoria, di avviare un dialogo teologico della verità tra Cattolici e Ortodossi. Lungo questi anni Dio, fonte di ogni pace e amore, ci ha insegnato a considerarci gli uni gli altri come membri della stessa famiglia cristiana, sotto un solo Signore e Salvatore, Cristo Gesù, e ad amarci gli uni gli altri, di modo che possiamo professare la nostra fede nello stesso Vangelo di Cristo, così come è stato ricevuto dagli Apostoli, espresso e trasmesso a noi dai Concili ecumenici e dai Padri della Chiesa. Pienamente consapevoli di non avere raggiunto l’obiettivo della piena comunione, oggi ribadiamo il nostro impegno a continuare a camminare insieme verso l’unità per la quale Cristo Signore ha pregato il Padre, 'perché tutti siano una sola cosa' (Gv 17,21).
3. Ben consapevoli che tale unità si manifesta nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo, aneliamo al giorno in cui finalmente parteciperemo insieme al banchetto eucaristico. Come cristiani, ci spetta il compito di prepararci a ricevere questo dono della comunione eucaristica, secondo l’insegnamento di Sant’Ireneo di Lione, attraverso la professione dell’unica fede, la preghiera costante, la conversione interiore, il rinnovamento di vita e il dialogo fraterno (Adversus haereses, IV,18,5. PG 7, 1028). Nel raggiungere questo obiettivo verso cui orientiamo le nostre speranze, manifesteremo davanti al mondo l’amore di Dio e, in tal modo, saremo riconosciuti come veri discepoli di Gesù Cristo (cf Gv 13,35).

4. A tal fine, un contributo fondamentale alla ricerca della piena comunione tra Cattolici ed Ortodossi è offerto dal dialogo teologico condotto dalla Commissione mista internazionale. Durante il tempo successivo dei Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e del Patriarca Dimitrios, il progresso realizzato dai nostri incontri teologici è stato sostanziale. Oggi vogliamo esprimere il nostro sentito apprezzamento per i risultati raggiunti, così come per gli sforzi che attualmente si stanno compiendo. Non si tratta di un mero esercizio teorico, ma di un esercizio nella verità e nella carità, che richiede una sempre più profonda conoscenza delle tradizioni gli uni degli altri, per comprenderle e per apprendere da esse. Per questo, affermiamo ancora una volta che il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull'approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio. Affermiamo quindi insieme che la nostra fedeltà al Signore esige l’incontro fraterno ed il vero dialogo. Tale ricerca comune non ci allontana dalla verità, piuttosto, attraverso uno scambio di doni, ci condurrà, sotto la guida dello Spirito, a tutta la verità (cf Gv 16,13).

5. Pur essendo ancora in cammino verso la piena comunione, abbiamo sin d’ora il dovere di offrire una testimonianza comune all’amore di Dio verso tutti, collaborando nel servizio all’umanità, specialmente per quanto riguarda la difesa della dignità della persona umana in ogni fase della vita e della santità della famiglia basata sul matrimonio, la promozione della pace e del bene comune, la risposta alle miserie che continuano ad affliggere il nostro mondo. Riconosciamo che devono essere costantemente affrontati la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni. È nostro dovere sforzarci di costruire insieme una società giusta ed umana, nella quale nessuno si senta escluso o emarginato.

6. Siamo profondamente convinti che il futuro della famiglia umana dipende anche da come sapremo custodire, in modo saggio ed amorevole, con giustizia ed equità, il dono della creazione affidatoci da Dio. Riconosciamo dunque pentiti l’ingiusto sfruttamento del nostro pianeta, che costituisce un peccato davanti agli occhi di Dio. Ribadiamo la nostra responsabilità e il dovere di alimentare un senso di umiltà e moderazione, perché tutti sentano la necessità di rispettare la creazione e salvaguardarla con cura. Insieme, affermiamo il nostro impegno a risvegliare le coscienze nei confronti della custodia del creato; facciamo appello a tutti gli uomini e donne di buona volontà a cercare i modi in cui vivere con minore spreco e maggiore sobrietà, manifestando minore avidità e maggiore generosità per la protezione del mondo di Dio e per il bene del suo popolo.

7. Esiste altresì un urgente bisogno di cooperazione efficace e impegnata tra i cristiani, al fine di salvaguardare ovunque il diritto ad esprimere pubblicamente la propria fede e ad essere trattati con equità quando si intende promuovere il contributo che il Cristianesimo continua ad offrire alla società e alla cultura contemporanee. A questo proposito, esortiamo tutti i cristiani a promuovere un autentico dialogo con l’Ebraismo, con l’Islam e con le altre tradizioni religiose. L’indifferenza e la reciproca ignoranza possono soltanto condurre alla diffidenza e, purtroppo, persino al conflitto.

8. Da questa Città Santa di Gerusalemme, vogliamo esprimere la nostra comune profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto a rimanere cittadini a pieno titolo delle loro patrie. Rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera al Dio onnipotente e misericordioso per la pace in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente. Preghiamo specialmente per le Chiese in Egitto, in Siria e in Iraq, che hanno sofferto molto duramente a causa di eventi recenti. Incoraggiamo tutte le parti, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose, a continuare a lavorare per la riconciliazione e per il giusto riconoscimento dei diritti dei popoli. Siamo profondamente convinti che non le armi, ma il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono gli unici strumenti possibili per conseguire la pace.

9. In un contesto storico segnato da violenza, indifferenza ed egoismo, tanti uomini e donne si sentono oggi smarriti. È proprio con la testimonianza comune della lieta notizia del Vangelo, che potremo aiutare l'uomo del nostro tempo a ritrovare la strada che lo conduce alla verità, alla giustizia e alla pace. In unione di intenti, e ricordando l’esempio offerto cinquant’anni fa qui a Gerusalemme da Papa Paolo VI e dal Patriarca Athenagoras, facciamo appello ai cristiani, ai credenti di ogni tradizione religiosa e a tutti gli uomini di buona volontà, a riconoscere l’urgenza dell’ora presente, che ci chiama a cercare la riconciliazione e l’unità della famiglia umana, nel pieno rispetto delle legittime differenze, per il bene dell’umanità intera e delle generazioni future.

10. Mentre viviamo questo comune pellegrinaggio al luogo dove il nostro unico e medesimo Signore Gesù Cristo è stato crocifisso, è stato sepolto ed è risorto, affidiamo umilmente all’intercessione di Maria Santissima e Sempre Vergine i passi futuri del nostro cammino verso la piena unità e raccomandiamo all’amore infinito di Dio l’intera famiglia umana.

Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6, 25-26).

CELEBRAZIONE ECUMENICA AL SANTO SEPOLCRO: NON PRIVIAMO IL MONDO DEL LIETO ANNUNCIO DELLA RISURREZIONE!

Città del Vaticano, 25 maggio 2014 (VIS). Dopo la firma della Dichiarazione Comune, il Santo Padre e il Patriarca Bartolomeo hanno raggiunto la Basilica del Santo Sepolcro per partecipare ad una celebrazione ecumenica. Il Papa è entrato nella piazza dalla Porta del Muristan, mentre il Patriarca Ecumenico è entrato dalla Porta di Sant'Elena. Alla celebrazione hanno partecipato gli Ordinari Cattolici di Terra Santa, l'Arcivescovo copto, l'Arcivescovo siriaco, l'Arcivescovo etiopico, il Vescovo Anglicano, il Vescovo luterano e altri vescovi. Erano inoltre presenti i Consoli Generali dei cinque Paesi che garantiscono lo"statu quo" della Basilica (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Grecia) e gli altri Consoli del "Corpus separatum" di Gerusalemme (Svezia, Stati Uniti, Turchia, Regno).

Il Santo Sepolcro è secondo la tradizione il luogo della Crocifissione, della Sepoltura e della Risurrezione di Cristo. Dopo la repressione della rivolta giudaica, nel 135, Gerusalemme subisce un cambiamento radicale: giudei, samaritani, giudei-cristiani sono espulsi con la proibizione di ritornarvi. Adriano, nell'intento di cancellare ogni traccia della religione giudaica che aveva provocato due violente rivolte, si adopera per far sparire ogni luogo di culto. La stessa sorte tocca al Santo Sepolcro, raso al suolo; le cavità sono riempite da terra di riporto e sul sito viene edificato un tempio per la dea Venere-Ishtar. Durante il primo Concilio Ecumenico di Nicea (325), il Vescovo di Gerusalemme, Macario invita l'imperatore Costantino a riportare alla luce il Santo Sepolcro, che sotto le macerie si era conservato perfettamente. Santa Elena, l'imperatrice madre di Costantino, vi fa erigere la Basilica della Risurrezione, che nei secoli subisce alterne vicende. Con l'invasione dei persiani nel 614, come racconta un pellegrino, la pietra di chiusura della tomba viene spezzata. Nel 1099, i Crociati entrati a Gerusalemme, decidono di non ricostruire i monumenti precedenti molto danneggiati ma di strutturare una grande chiesa che racchiuda, in un unico edificio, tutti i luoghi essenziali della morte e della Risurrezione di Gesù. La nuova chiesa rimane più o meno inalterata fino al secolo XIX. Dopo il terremoto del 1927 il governo britannico che aveva il mandato sulla Palestina, esegue opere di consolidamento. Infine nel 1948 la Basilica viene danneggiata durante la prima guerra arabo-israeliana.

Ai giorni nostri la Basilica è regolata dallo "Statu quo" e ne sono comproprietarie le tre comunità: latina (rappresentata dai Frati Minori); greco-ortodossa e armeno ortodossa; i copti ortodossi, i siri ortodossi e gli etiopici possono officiare nella Basilica. All'ingresso, nell'atrio, c'è la Pietra dell'Unzione che secondo la tradizione indica il luogo dove Gesù, deposto dalla Croce, venne cosparso di unguenti.

Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo vengono accolti dai tre Superiori delle Comunità dello "Statu quo" (Greco-Ortodossa, Francescana ed Armena Apostolica). Il Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme, Theophilos III, il Custode di Terra Santa, Padre Pierbattista Pizzaballa, O.F.M., e Il Patriarca Armeno Apostolico, S.B. Nourhan, venerano la "Pietra dell'Unzione. Successivamente la "Pietra dell'Unzione" viene venerata simultaneamente da Papa Francesco e dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo.

Dopo la proclamazione del Vangelo della Risurrezione e le parole del Patriarca Ecumenico Bartolomeo, il Santo Padre ha pronunciato un discorso nel quale ha affermato: "In questa Basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione, raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. Lo compiamo sulle orme dei nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, i quali, con coraggio e docilità allo Spirito Santo, diedero luogo cinquant’anni fa, nella Città santa di Gerusalemme, allo storico incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli".

una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione (...). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione (...). È il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore, 'patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte'. Ciascuno di noi, ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risorto da questo sepolcro, poiché tutti nel Battesimo siamo stati realmente incorporati al Primogenito di tutta la creazione, sepolti insieme con Lui, per essere con Lui risuscitati e poter camminare in una vita nuova".

"Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte. Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua. (...) Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza, che è proprio questo: Christòs anesti! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi 'i miei fratelli'”.

"Certo - ha proseguito Papa Francesco - non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino. Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto! Ogni volta che pensiamo il futuro della Chiesa a partire dalla sua vocazione all’unità, brilla la luce del mattino di Pasqua! A tale riguardo, desidero rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti".

"Mentre sostiamo come pellegrini in questi santi Luoghi, il nostro ricordo orante va all’intera regione del Medio Oriente, purtroppo così spesso segnata da violenze e conflitti. E non dimentichiamo, nella nostra preghiera, tanti altri uomini e donne che, in diverse parti del pianeta, soffrono a motivo della guerra, della povertà, della fame; così come i molti cristiani perseguitati per la loro fede nel Signore Risorto. Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non domandano loro se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani. Il sangue cristiano è lo stesso".

Infine, rivolgendosi al Patriarca Bartolomeo e a tutti i presenti, il Papa ha detto;: "Mettiamo da parte le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore, per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione. In questo cammino ci sentiamo sostenuti dalla preghiera che Gesù stesso, in questa Città, alla vigilia della sua passione, morte e risurrezione, ha elevato al Padre per i suoi discepoli, e che non ci stanchiamo con umiltà di fare nostra: 'Che siano una sola cosa … perché il mondo creda'. E quando la disunione ci fa pessimisti, poco coraggiosi, sfiduciati, andiamo tutti sotto il mando della Santa Madre di Dio. Quando nell'anima cristiana ci sono turbolenze spirituali, soltanto sotto il manto della Santa Madre di Dio troveremo pace. Che Lei ci aiuti in questo cammino".

Al termine del discorso il Papa e il Patriarca hanno scambiato un abbraccio in segno di pace ed hanno pregato insieme il Padre Nostro in italiano, mentre tutti i presenti lo hanno recitato ciascuno nella propria lingua. Quindi sono entrati nel Sepolcro per venerare la Tomba vuota. Appena usciti dal Sepolcro, il Papa e il Patriarca Ecumenico hanno benedetto insieme il popolo, quindi si sono recati sul Monte Calvario, per venerare il luogo della crocifissione e della morte di Gesù, accompagnati dal Patriarca Greco, dal Patriarca Armeno e dal Custode di Terra Santa.

ALTRI ATTI PONTIFICI

Città del Vaticano, 26 maggio 2014 (VIS). Il Santo Padre ha nominato il Vescovo Felipe González González, O.F.M. Cap., Vicario Apostolico di Caroni (superficie: 80.309; popolazione: 58.800; cattolici: 43.700; sacerdoti: 7; religiosi: 26), Venezuela, trasferendolo dal Vicariato Apostolico di Tucupita.
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