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venerdì 15 ottobre 2010

SETTIMA CONGREGAZIONE GENERALE

CITTA' DEL VATICANO, 14 OTT. 2010 (VIS). Nel pomeriggio di oggi si è tenuta nell’Aula del Sinodo la Settima Congregazione Generale, nel corso della quale sono continuati gli interventi dei Padri Sinodali. Presidente Delegato di turno è stato Sua Beatitudine Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri (Libano). Gli interventi liberi si sono svolti in presenza del Santo Padre.

CARDINALE PETER KODWO APPIAH TURKSON, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (CITTÀ DEL VATICANO). “Si potrebbe favorire la conoscenza del sito del PCGP come strumento al servizio delle Chiese locali per l'approfondimento della Dottrina Sociale della Chiesa. A questo proposito, il PCGP si impegna di completare la traduzione in Arabo del ‘Compendium della Dottrina Sociale della Chiesa’. Inoltre, si potrebbe, visto l'intento del PCGP di istituire una ‘summer school presso questo Dicastero, pensare di invitare e coinvolgere anche sacerdoti provenienti dal Medio Oriente (...). Le Chiese e le religioni di minoranza in Medio Oriente non devono subire discriminazio¬ne, violenza, propaganda diffamatoria (anti cristiana), la negazione di permessi di costruire edifici di culto, e di organizzare funzioni pubbliche. Infatti, la promozione delle ‘Risoluzioni contro Diffamazione’ delle Religioni nel quadro dell' Organizzazione delle Nazioni Unite non deve limitarsi a Islam (Islamofobia) nel mondo occidentale. Essa deve includere Cristianesimo (Cristianofobia: la religione e le comunità dei credenti) nel mondo Islamico. Si può pure promuovere l'adozione, sempre nel quadro dell' ONU, di una risoluzione sulla libertà religiosa come alternativa alla risoluzione sulla ‘Diffamazione delle Religioni’”.

REVERENDO RAYMOND MOUSSALLI, PROTOSINCELLO DEL PATRIARCATO DI BABILONIA DEI CALDEI (GIORDANIA). “Noi siamo parte della storia e della cultura di questa regione medio orientale, e se saremo costretti ad abbandonarla perderemo la nostra identità nella prossima generazione. Per questo spero che dal Sinodo emerga la necessità di una più stretta collaborazione tra i capi delle varie Chiese nel dialogo reciproco con i fratelli musulmani moderati. Come sappiamo le nostre chiese con il clero in Iraq vengono attaccate. C’è una deliberata campagna per cacciare i cristiani al di fuori del paese. Ci sono piani satanici dei gruppi fondamentali estremisti che non sono solo contro i cristiani iracheni in Iraq, ma i cristiani in tutto il Medio Oriente. (...) Vogliamo sensibilizzare la comunità internazionale che non può restare in silenzio davanti al massacro dei cristiani in Iraq, i Paesi di tradizione cattolica, affinché facciano qualcosa per i cristiani iracheni, a cominciare dalla pressione sul Governo locale. Stiamo attraversando un tempo catastrofico per l'emigrazione delle famiglie e la perdita del nostro popolo che parla ancora la lingua aramaica pronunciata da nostro Signore Gesù Cristo”.

ARCIVESCOVO EDMOND FARHAT, NUNZIO APOSTOLICO (LIBANO). La situazione del Medio Oriente oggi è come un organo vivente che ha subito un trapianto che non riesce ad assimilare e che non ha avuto specialisti che la curassero. Come ultima risorsa l’Oriente arabo musulmano ha guardato alla Chiesa credendo, come dentro di sé pensa, che sia capace di ottenergli giustizia. Non è stato così. È deluso, ha paura. La sua fiducia si è trasformata in frustrazione. È caduto in una crisi profonda. (...) Oggi, la Chiesa subisce ingiustizie e calunnie. Come nel Vangelo molti partono, altri si stancano, o fuggono. I frustrati e i disperati si vendicano sugli innocenti. Dietro alle uccisioni materiali e alle sconfitte più cocenti c’è il peccato. (...) L’azione di Dio continua nella storia. La Chiesa in Medio Oriente vive attualmente il suo cammino di croce e di purificazione, che porta al rinnovamento e alla risurrezione. Le sofferenze e le angustie del presente sono i gemiti di una nuova nascita. Se durano è perché questo genere di demoni che tormentano la nostra società si scacciano solo con la preghiera. Forse non abbiamo pregato abbastanza!”.

ARCIVESCOVO RUGGERO FRANCESCHINI, O.F.M. CAP., DI IZMIR, AMMINISTRATORE APOSTOLICO DEL VICARIATO APOSTOLICO DELL'ANATOLIA, PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI TURCHIA (TURCHIA). “La piccola Chiesa di Turchia, a volte ignorata, ha avuto il sue triste momento di fama con il brutale assassinio del Presidente della Conferenza Episcopale Turca, Monsignor Luigi Padovese. In breve, voglio chiudere questa spiacevole parentesi cancellando insopportabili calunnie fatte circolare dagli stessi organizzatori del delitto. Perché di questo si tratta: omicidio premeditato, dagli stessi poteri occulti che il povero Luigi aveva, pochi mesi prima, indicato come responsabili dell'assassinio di Don Andrea Santoro, del giornalista armeno Dink e dei quattro protestanti di Malatya; cioè un' oscura trama di complicità tra ultranazionalisti e fanatici religiosi, esperti in strategia della tensione. La situazione pastorale e amministrativa del Vicariato dell' Anatolia è grave. (...) Cosa chiediamo alla Chiesa? Semplicemente quello che ora ci manca: un Pastore, qualcuno che lo aiuti, i mezzi per farlo, e tutto questo con ragionevole urgenza. (...) La Chiesa di Anatolia è a rischio di sopravvivenza (...). Voglio tuttavia rassicurare le Chiese vicine, in particolare quelle che soffrono persecuzione e vedono i propri fedeli trasformarsi in profughi, che come Conferenza Episcopale Turca saremo ancora disponibili all'accoglienza e all'aiuto fraterno, anche oltre le nostre possibilità; così come siamo aperti ad ogni collaborazione pastorale con le Chiese sorelle e con i musulmani di una laicità positiva, per il bene dei cristiani che vivono in Turchia, e per il bene dei poveri e dei profughi numerosi in Turchia”.

Successivamente sono intervenuti diversi Uditori. Di seguito riportiamo la sintesi di alcuni interventi.

PROFESSOR MARCO IMPAGLIAZZO, ORDINARIO DI STORIA CONTEMPORANEA PRESSO L'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI PER STRANIERI DI PERUGIA, PRESIDENTE DELLA COMUNITÀ DI SANT'EGIDIO (ITALIA). “È nell’interesse delle società musulmane che le comunità cristiane siano vive e attive nel mondo mediorientale. Un Medio Oriente senza cristiani significherebbe la perdita di una presenza interna alla cultura araba, capace di rivendicare il pluralismo rispetto all’islam politico e all’islamizzazione. Senza di loro l’Islam sarebbe più solo e fondamentalista. I cristiani rappresentano una forma di resistenza a un ‘totalitarismo’ islamizzante. La loro permanenza in Medio Oriente è nell’interesse generale delle società della regione e dell’Islam. (...) In Medio Oriente non c’è solo da difendere un passato cristiano, ma anche da affermare una visione del futuro, partendo dalla convinzione che i cristiani hanno in questo una vocazione storica: comunicare il nome di Gesù, viverlo e, in tal modo lavorare per costruire in modo creativo una civiltà del vivere insieme di cui il mondo intero ha bisogno. C’è qui il dovere del dialogo. (...) Le Chiese in Medio Oriente possono essere artefici di una civiltà del vivere insieme, esemplare a livello mondiale, nella misura in cui reintegrano e rivendicano con voce alta e forte il senso della loro missione”.

SIGNORA PILAR LARA ALÉN, PRESIDENTE DALLA FONDAZIONE PROMOZIONE SOCIALE DELLA CULTURA (SPAGNA). “Attualmente la Fondazione è presente in 41 Paesi e in 4 continenti. Nei 5 Paesi del Medio Oriente, la nostra zona prioritaria, abbiamo gestito più di 98 programmi con un giro di affari di oltre 60 milioni di euro. Dopo questi anni di esperienza sul campo, vorrei fare alcuni commenti sulla situazione; in Medio Oriente assistiamo alla scomparsa di intere comunità cristiane, nell’indifferenza del mondo intero, specialmente dell’Europa. Allo stesso tempo la guerra fa parte della vita quotidiana; la povertà non è affatto l’unica causa dei conflitti, lo è piuttosto il fattore religioso. Infine, i cristiani continuano a vivere attorno alle loro Chiese, anche se, a volte, si tratta di un semplice formalismo sociale. La conclusione è che la presenza dei cristiani è fondamentale per la pace e la riconciliazione, ma essi dovrebbero operare senza escludere la religione dalla vita pubblica, come è successo in Europa, perché questo non è affatto utile allo sviluppo. I valori religiosi ci permettono di progredire contemporaneamente sul piano sociale e personale. Di conseguenza i cristiani devono adeguare i loro comportamenti al loro credo, superare l’odio e i rancori e ricercare il perdono. Essi non dovrebbero affatto predicare, a parole, il messaggio evangelico e, nei fatti, la vendetta e la lotta armata. Ciascuno ha l’obbligo di procurarsi una formazione che gli permetta di acquisire le condizioni adatte a progredire nella vita professionale e cristiana”.

Alle 18.30 il presidente delegato ha dato la parola ai rappresentanti dell’Islam: il Signor Muhammad al-Sammak, Consigliere politico del Gran Muftí del Libano, e all’Ayatollah Seyed Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi, Professore presso la Facoltà di Diritto della Shahid Beheshti University di Teheran e Membro dell’Accademia Iraniana delle Scienze.

MUHAMMAD AL-SAMMAK (LIBANO). “Due aspetti negativi sono la causa del problema dei cristiani d’Oriente: il primo riguarda la mancanza di rispetto dei diritti dei cittadini nella piena uguaglianza di fronte alla legge in alcuni paesi. Il secondo riguarda l’incomprensione dello spirito degli insegnamenti islamici specifici relativi ai rapporti con i cristiani che il Sacro Corano ha definito “i più predisposti a amare i credenti” e ha giustificato questo amore affermando “che ci sono tra di loro sacerdoti e monaci e che essi non si riempiono d’orgoglio”.

“Questi due aspetti negativi, in tutto ciò che comportano come contenuti intellettuali e politici negativi, e in tutto ciò che implicano come atteggiamenti relativi agli accordi e alla loro applicazione e che provocano come azioni preoccupanti e nocive, fanno del male a tutti - cristiani e musulmani - e ci offendono tutti nella nostra vita e nel nostro destino comuni. Per questo, siamo chiamati, in quanto cristiani e musulmani, a lavorare insieme per trasformare questi due aspetti negativi in aspetti positivi: in primo luogo, attraverso il rispetto dei fondamenti e delle regole della cittadinanza che opera l’uguaglianza prima nei diritti e poi nei doveri. In secondo luogo, ostacolando la cultura dell’esagerazione e dell’estremismo nel suo rifiuto dell’altro e nel suo desiderio di avere il monopolio esclusivo della verità, e rafforzando e diffondendo la cultura della moderazione, dell’amore e del perdono, in quanto rispetto della differenza di religione e di fede, di lingua, di cultura, di colore e di razza e poi, come ci insegna il Sacro Corano ci rimettiamo al giudizio di Dio riguardo alle nostre differenze. Sì, i cristiani d’Oriente sono messi alla prova, ma non sono soli”.

“La presenza cristiana in oriente, che opera e agisce con i musulmani, è una necessità sia cristiana che islamica. È una necessità non solo per l’Oriente, ma anche per il mondo intero. Il pericolo di un calo di questa presenza a livello quantitativo e qualitativo è una preoccupazione sia cristiana che islamica, non solo per i musulmani d’Oriente, ma anche per tutti i musulmani del mondo. Non solo, io posso vivere il mio Islam con qualunque altro musulmano di ogni stato ed etnia, ma in quanto arabo orientale, non posso vivere la mia essenza di arabo senza il cristiano arabo orientale. L’emigrazione del cristiano è un impoverimento dell’identità araba, della sua cultura e della sua autenticità”.

“È per questo che sottolineo ancora una volta qui, dalla tribuna del Vaticano, ciò che ho già detto alla venerabile Mecca, ossia che sono preoccupato per il futuro dei musulmani d’Oriente a causa dell’emigrazione dei cristiani d’Oriente. Conservare la presenza cristiana è un comune dovere islamico nonché un comune dovere cristiano. I cristiani d’oriente non sono una minoranza casuale. Essi sono all’origine della presenza dell’Oriente prima dell’Islam. Sono parte integrante della formazione culturale, letteraria e scientifica della civiltà islamica”.

AYATOLLAH SEYED MOSTAFA MOHAGHEGH AHMADABADI (IRAN). “Nel corso degli ultimi decenni, le religioni si sono trovate di fronte a nuove situazioni. L’aspetto più importante di questo fatto è la diffusa confusione dei loro discepoli nel contesto reale della vita sociale, come pure nelle arene nazionali e internazionali. Prima della Seconda Guerra Mondiale, e nonostante gli sviluppi tecnologici, i seguaci delle diverse religioni vivevano di solito all’interno dei propri confini nazionali. Non esisteva l’enorme problema dell’immigrazione né la vasta espansione della comunicazione che unisce gruppi sociali tanto differenti tra loro”. (…) Ma oggi siamo testimoni dei grandi cambiamenti occorsi dalla metà del secolo scorso e tale trasformazione prosegue a un ritmo incredibile. Ciò non ha avuto soltanto un effetto qualitativo sui rapporti tra le religioni, ma ha altresì condizionato i rapporti tra i diversi segmenti delle religioni e perfino tra i loro seguaci. È indubbio che nessuna religione può rimanere indifferente di fronte a questa situazione di rapidi cambiamenti”.

“Nelle società in cui sono esistiti diversi gruppi etnici con le proprie lingue e religioni, per il bene della stabilità sociale e della “sanità etnica”, occorre che ognuno rispetti la loro presenza e i loro diritti. La concordanza di interessi e il benessere sociale a livello nazionale e internazionale sono tali che nessun gruppo o paese può essere trascurato. E questa è la realtà del nostro tempo”.

“Non dobbiamo forse considerare inoltre quale sia la situazione ideale per i credenti e i seguaci? Qual è la migliore condizione raggiunta? Sembra che il mondo ideale sia uno stato in cui i credenti di ogni religione, liberamente e senza preoccupazioni, timori o obblighi, possano vivere secondo i principi fondamentali e le usanze dei propri costumi e tradizioni. Tale diritto universalmente riconosciuto dovrebbe essere messo effettivamente in pratica dagli stati e dalle comunità”.
SE/ VIS 20101015 (2120)

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