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lunedì 20 maggio 2013

AI MOVIMENTI ECCLESIALI: LA CHIESA NON PUÒ CHIUDERSI IN SE STESSA

Città del Vaticano, 18 maggio 2013 (VIS). Nell’ambito dell’Anno della fede si svolge oggi e domani il pellegrinaggio a Roma dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali, sul tema "Io credo! Aumenta in noi la fede". Più di 120.000 persone erano questo pomeriggio in Piazza San Pietro dove il Papa è giunto alle 17:30, e dopo il saluto ai fedeli, ha dato inizio alla Veglia di Pentecoste.

Dopo il saluto dell'Arcivescovo Salvatore Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, ha avuto luogo l’intronizzazione dell’icona della Salus Populi Romani che è stata poi portata in processione dal centro della Piazza, accompagnata da un gruppo di giovani rappresentanti dei Movimenti e delle Associazioni. Ad un momento di canti e letture, hanno fatto seguito due testimonianze, e successivamente Papa Francesco ha risposto a quattro domande che gli sono state rivolte da alcuni rappresentanti delle realtà presenti. Pubblichiamo di seguito le domande e una sintesi delle risposte del Santo Padre Francesco:

"Santità, come Lei ha potuto raggiungere nella Sua vita la certezza sulla fede; e quale strada ci indica perché ciascuno di noi possa vincere la fragilità della fede?" è stata la prima domanda.

Risposta: "Io ho avuto la grazia di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto (...) Il primo annuncio in casa, con la famiglia! E questo mi fa pensare all'amore di tante mamme e di tante nonne nella trasmissione della fede. (...) Noi non troviamo la fede nell'astratto, no! È sempre una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, che ci trasmette la fede, ci dà il primo annuncio. (...) Ma c'è un giorno per me molto importante: il 21 settembre del '53. Avevo quasi 17 anni. Era il 'Giorno dello studente' (...) Prima di andare alle festa, sono passato nella parrocchia dove andavo, ho trovato un prete, che non conoscevo, e ho sentito la necessità di confessarmi. (...) Dopo la Confessione ho sentito che qualcosa era cambiato. Io non ero lo stesso. Avevo sentito proprio come una voce, una chiamata: ero convinto che dovessi diventare sacerdote. Questa esperienza nella fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono, ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima. (...) E questo ti porta nel cuore uno stupore tale che non lo credi, e così va crescendo la fede! Con l'incontro con una persona, con l'incontro con il Signore. (...) Il nemico più grande che ha la fragilità - curioso, eh? è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, e lo sappiamo. Ma Lui è più forte! Se tu vai con Lui, non c'è problema! Un bambino è fragilissimo (...) ma (...) con il papà, con la mamma: è al sicuro! Con il Signore siamo sicuri. La fede cresce con il Signore, proprio dalla mano del Signore".

La seconda domanda ha riguardato la sfida della evangelizzazione e cosa devono fare i movimenti per attuare il compito cui sono chiamati.

Risposta: "Dirò soltanto tre parole: La prima: Gesù. (...) Se noi andiamo avanti con l'organizzazione, con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va. Gesù è più importante. (...) La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto - (...) sentirsi guardati. E la terza: la testimonianza. (...) La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l'amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza. (...) Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita (...) che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale. Socialmente siamo così, siamo cristiani, chiusi in noi. No, questo no! La testimonianza!".

La terza domanda è stata come vivere una Chiesa povera e per i poveri.

Risposta: "Prima di tutto, vivere il Vangelo è il principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata: non è questo. (...) La Chiesa è sale della terra, è luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio e lo fa prima di tutto con la sua testimonianza, la testimonianza dell'amore fraterno, della solidarietà. (...) Quando si sentono alcuni dire che la solidarietà non è un valore, ma è un 'atteggiamento primario' che deve sparire ... questo non va! (...) I momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo (...), questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È una crisi dell'uomo. (...) E ciò che può essere distrutto è l'uomo! Ma l'uomo è immagine di Dio! (...) In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento (...) Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose... ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala (...) La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. (...) La fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa cosa che fa Gesù: incontrare gli altri (...). Noi dobbiamo andare all'incontro e dobbiamo creare con la nostra fede una 'cultura dell'incontro' (...) dove possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come noi, anche con quelli che hanno un'altra fede. (...) Tutti hanno qualcosa in comune con noi: sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all'incontro con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi stessi, troviamo la povertà. (...) Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da mangiare non è notizia. Questo è grave (...) Noi non possiamo restare tranquilli! (...) Non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo. (...) La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione".

L'ultima domanda è stata: "E come aiutare questi nostri fratelli, come alleviare la loro sofferenza non potendo fare nulla o ben poco per cambiare il loro contesto politico-sociale?".

Risposta: "Per annunciare il Vangelo sono necessarie due virtù: il coraggio e la pazienza. Loro [i cristiani che soffrono] sono nella Chiesa della pazienza. Loro soffrono e ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa (...). Bisogna precisare che tante volte questi conflitti non hanno un’origine religiosa; spesso ci sono altre cause, di tipo sociale e politico, e purtroppo le appartenenze religiose vengono utilizzate come benzina sul fuoco. Un cristiano deve saper sempre rispondere al male con il bene, anche se spesso è difficile. Noi cerchiamo di far sentire loro, a questi fratelli e sorelle, che siamo profondamente uniti (...) alla loro situazione, che noi sappiamo che sono cristiani 'entrati nella pazienza'. Quando Gesù va incontro alla Passione, entra nella pazienza. (...) Loro fanno l’esperienza del limite, proprio del limite tra la vita e la morte. E anche per noi: questa esperienza deve portarci a promuovere la libertà religiosa per tutti, per tutti! Ogni uomo e ogni donna devono essere liberi nella propria confessione religiosa, qualsiasi essa sia. Perché? Perché quell’uomo e quella donna sono figli di Dio".
La Veglia si è conclusa con la professione di fede, le invocazioni di preghiera, e il canto del Regina Caeli.

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