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sabato 19 novembre 2011

AFRICA, RISERVA DI VITALITÀ PER IL FUTURO

CITTA' DEL VATICANO, 18 NOV. 2011 (VIS). Nell’aereo papale diretto in Benin, il Santo Padre ha risposto alle domande che Padre Federico Lombardi, S.I., Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha posto a nome dei circa 50 giornalisti presenti.

  In risposta alla domanda perché proprio il Benin fosse il Paese indicato per lanciare il messaggio a tutta l’Africa dell’Esortazione Apostolica Postinodale “Africae Munus”, Benedetto XVI ha spiegato: “Ci sono diverse ragioni. La prima è che il Benin è un Paese in pace: pace esterna ed interna. Le istituzioni democratiche funzionano, sono realizzate nello spirito di libertà e responsabilità e quindi la giustizia e il lavoro per il bene comune sono possibili e garantiti (...). La seconda ragione è che, come nella maggior parte dei Paesi africani, c’è una presenza di diverse religioni e una convivenza pacifica tra queste religioni. Ci sono i cristiani nella loro diversità, non sempre facile, ci sono i musulmani e poi ci sono le religioni tradizionali, e queste diverse religioni convivono nel rispetto reciproco e nella comune responsabilità per la pace, per la riconciliazione interna ed esterna. Mi sembra che questa convivenza tra le religioni, il dialogo interreligioso come fattore di pace e di libertà sia un aspetto importante, come è parte importante dell’Esortazione apostolica post-sinodale”.

  “Infine, la terza ragione è che questo è il Paese del mio caro amico, il Cardinale Bernardin Gantin: avevo sempre il desiderio di poter pregare, un giorno, sulla sua tomba. E’ per me veramente un grande amico e quindi visitare il Paese del Cardinale Gantin, come un grande rappresentante dell’Africa cattolica e dell’Africa umana e civile, è per me uno dei motivi per cui desidero andare in questo Paese”.

  Una seconda domanda di Padre Lombardi ha riguardato il successo crescente di Chiese evangeliche o pentecostali “che propongono una fede attraente, una grande semplificazione del messaggio cristiano: insistono sulle guarigioni, mescolano i loro culti con quelli tradizionali”; e come la Chiesa cattolica può affrontare questa sfida. Il Papa ha risposto che queste comunità sono presenti in tutti i continenti, soprattutto in America Latina e Africa; gli elementi caratterizzanti sono la poca istituzionalità, un messaggio facile, semplice, comprensibile e la “liturgia partecipativa con l’espressione dei propri sentimenti, della propria cultura e combinazioni anche sincretistiche tra religioni. Tutto questo garantisce, da una parte, successo, ma implica anche poca stabilità. Sappiamo anche che molti ritornano alla Chiesa cattolica o migrano da una di queste comunità all’altra”.

  “Quindi, non dobbiamo imitare queste comunità - ha proseguito il Pontefice - ma chiederci cosa possiamo fare noi per dare nuova vitalità alla fede cattolica. Un primo punto è certamente un messaggio semplice, profondo, comprensibile; importante è che il cristianesimo non appaia come un sistema difficile, europeo, (....) ma come un messaggio universale che c’è Dio, che Dio c’entra [con noi], che Dio ci conosce e ci ama e che la religione concreta provoca collaborazione e fraternità”.

  “Poi, anche che l’istituzione non sia troppo pesante è sempre molto importante, che sia prevalente, diciamo, l’iniziativa della comunità e della persona. E direi anche una liturgia partecipativa, ma non sentimentale: non dev’essere basata solo sull’espressione dei sentimenti, ma caratterizzata dalla presenza del mistero nella quale noi entriamo, dalla quale ci lasciamo formare. E, infine, direi, è importante nell’inculturazione non perdere l’universalità. Io preferirei parlare di interculturalità, non tanto di inculturazione, cioè di un incontro delle culture nella comune verità del nostro essere umano nel nostro tempo, e così crescere anche nella fraternità universale; non perdere la cattolicità, che in tutte le parti del mondo siamo fratelli, siamo una famiglia che si conosce e che collabora in spirito di fraternità”.

  La terza domanda ha avuto per oggetto il messaggio e il contributo specifico che la Chiesa può dare alla costruzione di una pace durevole nel continente alle luce delle numerose operazioni di “peace-keeping” e di ricostruzione nazionale in diverse nazioni africane.

  “Vero è che ci sono state tante conferenze internazionali proprio anche per l’Africa, per la fraternità universale - ha risposto il Papa - Si dicono cose buone, e qualche volta anche si fanno realmente cose buone: dobbiamo riconoscerlo. Ma certamente le parole sono più grandi, le intenzioni, anche la volontà è più grande della realizzazione e dobbiamo chiederci perché la realtà non arriva alle parole e alle intenzioni. Mi sembra che un fattore fondamentale sia che questo rinnovamento, questa fraternità universale esige rinunce, esige anche di andare oltre l’egoismo ed essere per l’altro. E questo è facile da dire, ma è difficile da realizzare. (...) Ed è proprio solo con l’amore e la conoscenza di un Dio che ci ama, che ci dona, che possiamo arrivare a questo: osiamo perdere la vita, osiamo donarci perché sappiamo che proprio così ci guadagniamo”.

  Successivamente il Santo Padre ha spiegato la ragione per la quale l’Africa possa essere apportatrice di fede e di speranza per il resto del mondo. “L’umanità - ha detto - si trova in un processo sempre più veloce e rapido di trasformazione. Per l’Africa questo processo degli ultimi 50-60 anni - partendo dall’indipendenza, dopo il colonialismo, fino ad arrivare al tempo di oggi - è stato un processo molto esigente, naturalmente molto difficile, con grandi difficoltà e problemi, e questi problemi non sono ancora superati. (...) Tuttavia questa freschezza del sì alla vita che c’è in Africa, questa gioventù che esiste, che è piena di entusiasmo e di speranza, anche di umorismo e di allegria, ci mostra che qui c’è una riserva umana, c’è ancora una freschezza del senso religioso e della speranza (...). Quindi direi un umanesimo fresco che si trova nell’anima giovane dell’Africa, nonostante tutti i problemi che esistono e che esisteranno, mostra che qui c’è ancora una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale possiamo contare”.
PV-BENIN                 VIS 20111119 (980)

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