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lunedì 14 giugno 2010

RISPOSTE DEL PAPA AI SACERDOTI VEGLIA DI PREGHIERA

CITTA' DEL VATICANO, 12 GIU. 2010 (VIS). Il Santo Padre Benedetto XVI ha risposto alle domande di cinque sacerdoti dei diversi continenti nel corso della Veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro, la sera di giovedì scorso. Di seguito riportiamo un’ampia sintesi.
Un sacerdote brasiliano ha domandato al Pontefice come affrontare le difficoltà della pastorale nella parrocchia in una società molto cambiata. “Oggi” – ha risposto il Papa – “è molto difficile essere parroco, anche e soprattutto nei Paesi di antica cristianità; le parrocchie diventano sempre più estese, unità pastorali… è impossibile conoscere tutti, è impossibile fare tutti i lavori che ci si aspetterebbe da un parroco. (...) Penso che, soprattutto, sia importante che i fedeli possano vedere che questo sacerdote non fa solo un ‘job’, ore di lavoro, e poi è libero e vive solo per se stesso, ma che è un uomo appassionato di Cristo, che porta in sé il fuoco dell’amore di Cristo. (...) Essere pieni della gioia del Vangelo con tutto il nostro essere è la prima condizione. Poi si devono fare le scelte, avere le priorità, vedere quanto è possibile e quanto è impossibile. Direi che le tre priorità fondamentali le conosciamo: sono le tre colonne del nostro essere sacerdoti. (...) L’Eucaristia, i Sacramenti (...), l’annuncio della Parola, la ‘caritas’, l’amore di Cristo. (...) La preghiera non è una cosa marginale: è proprio ‘professione’ del sacerdote pregare, anche come rappresentante della gente che non sa pregare o non trova il tempo di pregare. La preghiera personale, soprattutto la ‘Preghiera delle Ore’, è nutrimento fondamentale per la nostra anima, per tutta la nostra azione”.
Un sacerdote della Costa d’Avorio ha domandato al Papa come evitare la frattura tra teologia e dottrina e, ancor più, tra teologia e spiritualità. Si sente la necessità che lo studio non sia tutto accademico ma alimenti la nostra spiritualità. Benedetto XVI ha riconosciuto un “abuso della teologia, che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo. Poi, c’è una teologia che vuole conoscere di più per amore dell’amato, è stimolata dall’amore e guidata dall’amore, vuole conoscere di più l’amato. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo. (...) Io direi prima di tutto ai teologi: abbiate coraggio. (...) E direi ai teologi in generale: ‘non abbiate paura di questo fantasma della scientificità!’. (...) Avere il coraggio (...) di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, ma pensare realmente a partire dalla grande fede della Chiesa , che è presente in tutti i tempi e ci apre l’accesso alla verità. (...) La formazione è molto importante. Ma dobbiamo essere anche critici: il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie. Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel ‘Catechismo della Chiesa Cattolica’: qui vediamo la sintesi della nostra fede, e questo Catechismo è veramente il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile”.
Un sacerdote proveniente dalla Slovacchia ha domandato al Papa di “illuminarci sulla profondità e sul senso autentico del celibato ecclesiastico”. “Un grande problema della cristianità del mondo di oggi” – ha risposto il Santo Padre – “è che non si pensa più al futuro di Dio: sembra sufficiente solo il presente di questo mondo. (...) Così chiudiamo le porte alla vera grandezza della nostra esistenza. Il senso del celibato come anticipazione del futuro è proprio aprire queste porte (...) mostrare la realtà del futuro che va vissuto da noi già come presente. Vivere, quindi, così in una testimonianza della fede: crediamo realmente che Dio c’è (...) che posso fondare la mia vita su Cristo, sulla vita futura. (...) Per il mondo agnostico (...) il celibato è un grande scandalo, perché mostra proprio che Dio è considerato e vissuto come realtà. (...) Il celibato è (...) un ‘sì’ definitivo è un lasciarsi prendere in mano da Dio, darsi nelle mani del Signore, nel suo ‘io’, e quindi è un atto di fedeltà e di fiducia, un atto che suppone anche la fedeltà del matrimonio (...). E questo matrimonio è la forma biblica, la forma naturale dell’essere uomo e donna, fondamento della grande cultura cristiana, di grandi culture del mondo. E se scompare questo, andrà distrutta la radice della nostra cultura. Perciò il celibato conferma il ‘sì’ del matrimonio con il suo ‘sì’ al mondo futuro, e così vogliamo andare avanti e rendere presente questo scandalo di una fede che pone tutta l’esistenza su Dio. (...) Preghiamo il Signore perché ci aiuti a renderci liberi dagli scandali secondari, perché renda presente il grande scandalo della nostra fede: la fiducia, la forza della nostra vita, che si fonda in Dio e in Cristo Gesù!”.
La quarta domanda di una sacerdote giapponese è stata come vivere la centralità dell’Eucaristia e il culto con dignità, senza cadere nel clericalismo o in un’estraneità alla realtà.Ricordando Sant’Agostino il Papa ha affermato che il “sacrificio dei cristiani è l’essere uniti dall’amore di Cristo nell’unità dell’unico corpo di Cristo. Il sacrificio consiste proprio nell’uscire da noi, nel lasciarsi attirare nella comunione dell’unico pane, dell’unico Corpo, e così entrare nella grande avventura dell’amore di Dio. Così dobbiamo celebrare, vivere, meditare sempre l’Eucaristia, come questa scuola della liberazione dal mio ‘io’. (...) In questo modo dobbiamo imparare l’Eucaristia, che poi è proprio il contrario del clericalismo, della chiusura in se stessi. (...) Vivere l’Eucaristia nel suo senso originario, nella sua vera profondità, è una scuola di vita, è la più sicura protezione contro ogni tentazione di clericalismo”.
Infine un sacerdote dell’Oceania ha domandato al Papa cosa fare di davvero efficace per le vocazioni. “La tentazione è grande di trasformare il sacerdozio - il sacramento di Cristo” – ha risposto il Santo Padre – “l’essere eletto da Lui - in una normale professione, in un ‘job’ che ha le sue ore, e per il resto uno appartiene solo a se stesso; e così rendendolo come una qualunque altra vocazione: renderlo accessibile e facile. (...) Dobbiamo - come ci invita il Signore - pregare Dio, bussare alla porta, al cuore di Dio, affinché ci dia le vocazioni; pregare con grande insistenza, con grande determinazione, con grande convinzione anche, perché Dio non si chiude ad una preghiera insistente, permanente, fiduciosa, anche se lascia fare, aspettare, come Saul, oltre i tempi che noi abbiamo previsto. (...) Ognuno di noi dovrebbe fare il possibile per vivere il proprio sacerdozio in maniera tale da risultare convincente (...) Dobbiamo invitare (...) all’iniziativa della preghiera, (...) avere il coraggio di parlare con i giovani se possono pensare che Dio li chiami (...) e soprattutto aiutarli a trovare un contesto vitale in cui possano vivere”.
AC/ VIS 20100614 (1140)

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