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mercoledì 14 gennaio 2009

VISIONE TEOLOGICA LETTERE COLOSSESI ED EFESINI

CITTA' DEL VATICANO, 14 GEN. 2009 (VIS). Nell'Udienza Generale di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha proseguito la catechesi dedicata a San Paolo, soffermandosi sulla visione teologica delle Lettere ai Colossesi e agli Efesini.

  "Solo in queste due 'Lettere'" - ha detto il Papa - "è attestato il titolo di 'capo', 'kefalé', dato a Gesù Cristo. E questo titolo viene impiegato a un doppio livello. In un primo senso, Cristo è inteso come capo della Chiesa. Ciò significa due cose: innanzitutto, che egli è il governante, il dirigente, il responsabile che guida la comunità cristiana come suo leader e suo Signore. (...) La Chiesa è considerata sottoposta a Cristo, sia per seguire la sua superiore conduzione - i comandamenti -, sia anche per accogliere tutti gli influssi vitali che da Lui promanano. (...) Poi, in un secondo senso, Cristo è considerato non solo come capo della Chiesa, ,a cp,e caèp delle potenze celesti e del cosmo intero".

  "Con queste parole le due 'Lettere' ci consegnano un messaggio altamente positivo e fecondo. Questo: Cristo non teme nessun eventuale concorrente, perché è superiore a ogni qualsivoglia forma di potere che presumesse di umiliare l'uomo. Solo Lui 'ci ha amati e ha dato se stesso per noi'. Perciò, se siamo uniti a Cristo, non dobbiamo temere nessun nemico e nessuna avversità; (...) Addirittura il cosmo intero è sottoposto a Lui, e a Lui converge come al proprio capo. (...) Cristo è il 'Pantokrator', a cui sono sottoposte tutte le cose: il pensiero va appunto al Cristo Pantocratore (...) a volte raffigurato seduto in alto sul mondo intero o addirittura su di un arcobaleno per indicare la sua equiparazione a Dio stesso, alla cui destra è assiso, e quindi anche la sua ineguagliabile funzione di conduttore dei destini umani".

   "Una visione del genere" - ha spiegato il Pontefice - "è concepibile solo da parte della Chiesa, non nel senso che essa voglia indebitamente appropriarsi di ciò che non le spetta, ma in un altro duplice senso: sia in quanto la Chiesa riconosce che in qualche modo Cristo è più grande di lei, dato che la sua signoria si estende anche al di là dei suoi confini, e sia in quanto solo la Chiesa è qualificata come Corpo di Cristo, non il cosmo. Tutto questo significa che noi dobbiamo considerare positivamente le realtà terrene, poiché Cristo le ricapitola in sé, e in pari tempo dobbiamo vivere in pienezza la nostra specifica identità ecclesiale, che è la più omogenea all'identità di Cristo stesso".

  "C'è poi anche un concetto speciale, che è tipico di queste due 'Lettere'" - ha detto ancora il Papa - "ed è il concetto di 'mistero'. (...) Esso sta a significare l'imperscrutabile disegno divino sulle sorti dell'uomo, dei popoli e del mondo. Con questo linguaggio le due Epistole ci dicono che è in Cristo che si trova il compimento di questo mistero. (...) Non è possibile pensare e adorare il beneplacito di Dio, la sua sovrana 'disposizione', senza confrontarci personalmente con Cristo in persona, in cui quel 'mistero' si incarna e può essere tangibilmente percepito".

  Infine il Papa ha citato un altro concetto ricorrente nelle due Lettere: "La Chiesa come partner sponsale di Cristo. (...) La Lettera agli Efesini sviluppa quest'immagine, precisando che la Chiesa non è solo una promessa sposa, ma è la reale sposa di Cristo. (...) Ma in più, egli è preoccupato per la sua bellezza: non solo di quella già acquisita con il battesimo, ma anche di quella che deve crescere ogni giorno grazie ad una vita ineccepibile 'senza ruga né macchia', nel suo comportamento morale".

  "Da qui alla comune esperienza del matrimonio cristiano il passo è breve; anzi, non è neppure ben chiaro quale sia per l'autore della Lettera il punto di riferimento iniziale, se sia il rapporto Cristo-Chiesa, alla cui luce pensare l'unione dell'uomo e della donna, oppure se sia il dato esperienziale dell'unione coniugale, alla cui luce pensare il rapporto tra Cristo e la Chiesa".

  "Queste due Lettere sono una grande catechesi" - ha esclamato il Pontefice - "dalla quale possiamo imparare non solo come essere buoni cristiani, ma anche come divenire realmente uomini. Se cominciamo a capire che il cosmo è l'impronta di Cristo, impariamo il nostro retto rapporto con il cosmo, con tutti i problemi della conservazione del cosmo. Impariamo a vederlo con la ragione, ma con una ragione mossa dall'amore e con l'umiltà e il rispetto che consentono di agire in modo retto. E se pensiamo che la Chiesa è il Corpo di Cristo, che Cristo ha dato se stesso per essa, impariamo come vivere con Cristo l'amore reciproco, l'amore che ci unisce a Dio e che ci fa vedere nell'altro l'immagine di Cristo, Cristo stesso".
AG/SAN PAOLO                                   VIS 20090114 (790)

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