Città
del Vaticano, 1 dicembre 2012 (VIS).-Pubblichiamo di seguito il Motu
Proprio di Benedetto XVI su “Il servizio della carità”. Il
documento reca la data dell'11 novembre 2012.
“L'intima
natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della
Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti
(leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si
presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno
dall’altro” (Lett. enc. Deus caritas est, 25).
Anche
il servizio della carità è una dimensione costitutiva della
missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua
stessa essenza (cfr ibidem); tutti i fedeli hanno il diritto ed il
dovere di impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo
che Cristo ci ha lasciato (cfr Gv 15,12), offrendo all’uomo
contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura
dell’anima (cfr Lett. enc. Deus caritas est, 28). All’esercizio
della diakonia della carità la Chiesa è chiamata anche a livello
comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari,
fino alla Chiesa universale; per questo c’è bisogno anche di
un’”organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario
ordinato” (cfr ibid., 20), organizzazione articolata pure mediante
espressioni istituzionali.
A
proposito di questa diakonia della carità, nella Lettera enciclica
Deus caritas est segnalavo che "alla struttura episcopale della
Chiesa […] corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i
Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima
responsabilità della realizzazione" del servizio della carità
(n. 32), e notavo che "il Codice di Diritto Canonico, nei canoni
riguardanti il ministero episcopale, non tratta espressamente della
carità come di uno specifico ambito dell'attività episcopale"
(ibidem). Anche se "il Direttorio per il ministero pastorale dei
Vescovi ha approfondito più concretamente il dovere della carità
come compito intrinseco della Chiesa intera e del Vescovo nella sua
Diocesi" (ibidem), rimaneva comunque il bisogno di colmare la
suddetta lacuna normativa in modo da esprimere adeguatamente,
nell'ordinamento canonico, l'essenzialità del servizio della Carità
nella Chiesa ed il suo rapporto costitutivo con il ministero
episcopale, tratteggiando i profili giuridici che tale servizio
comporta nella Chiesa, soprattutto se esercitato in maniera
organizzata e col sostegno esplicito dei Pastori.
In
tale prospettiva, perciò, col presente Motu Proprio intendo fornire
un quadro normativo organico che serva meglio ad ordinare, nei loro
tratti generali, le diverse forme ecclesiali organizzate del servizio
della carità, che è strettamente collegata alla natura diaconale
della Chiesa e del ministero episcopale.
E’
importante, comunque, tenere presente che "l’azione pratica
resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per
l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo"
(ibid., 34). Pertanto, nell’attività caritativa, le tante
organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o
distribuzione di fondi, ma devono sempre avere una speciale
attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere, altresì,
una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo
l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore secondo
la logica del Vangelo di Cristo. L’attività caritativa della
Chiesa, infatti, a tutti i livelli, deve evitare il rischio di
dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone
una semplice variante (cfr ibid., 31).
Le
iniziative organizzate che, nel settore della carità, vengono
promosse dai fedeli nei vari luoghi sono molto differenti tra di loro
e richiedono un’appropriata gestione. In modo particolare, si è
sviluppata a livello parrocchiale, diocesano, nazionale ed
internazionale l'attività della "Caritas", istituzione
promossa dalla Gerarchia ecclesiastica, che si è giustamente
guadagnata l’apprezzamento e la fiducia dei fedeli e di tante altre
persone in tutto il mondo per la generosa e coerente testimonianza di
fede, come pure per la concretezza nel venire incontro alle richieste
dei bisognosi. Accanto a quest'ampia iniziativa, sostenuta
ufficialmente dall'autorità della Chiesa, nei vari luoghi sono sorte
molteplici altre iniziative, scaturite dal libero impegno di fedeli
che, in forme differenti, vogliono contribuire col proprio sforzo a
testimoniare concretamente la carità verso i bisognosi. Le une e le
altre sono iniziative diverse per origine e per regime giuridico, pur
esprimendo egualmente sensibilità e desiderio di rispondere ad un
medesimo richiamo.
La
Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea alle iniziative
promosse in modo organizzato, libera espressione della sollecitudine
dei battezzati per le persone ed i popoli bisognosi. Perciò i
Pastori le accolgano sempre come manifestazione della partecipazione
di tutti alla missione della Chiesa, rispettando le caratteristiche e
l’autonomia di governo che, secondo la loro natura, competono a
ciascuna di esse quali manifestazione della libertà dei battezzati.
Accanto
ad esse, l’autorità ecclesiastica ha promosso, di propria
iniziativa, opere specifiche, attraverso le quali provvede
istituzionalmente ad incanalare le elargizioni dei fedeli, secondo
forme giuridiche e operative adeguate che consentano di arrivare più
efficacemente a risolvere i concreti bisogni.
Tuttavia,
nella misura in cui dette attività siano promosse dalla Gerarchia
stessa, oppure siano esplicitamente sostenute dall'autorità dei
Pastori, occorre garantire che la loro gestione sia realizzata in
accordo con le esigenze dell'insegnamento della Chiesa e con le
intenzioni dei fedeli, e che rispettino anche le legittime norme date
dall'autorità civile. Davanti a queste esigenze, si rendeva
necessario determinare nel diritto della Chiesa alcune norme
essenziali, ispirate ai criteri generali della disciplina canonica,
che rendessero esplicite in questo settore di attività le
responsabilità giuridiche assunte in materia dai vari soggetti
implicati, delineando, in modo particolare, la posizione di autorità
e di coordinamento al riguardo che spetta al Vescovo diocesano. Dette
norme dovevano avere, tuttavia, sufficiente ampiezza per comprendere
l’apprezzabile varietà di istituzioni di ispirazione cattolica,
che come tali operano in questo settore, sia quelle nate su impulso
dalla stessa Gerarchia, sia quelle sorte dall’iniziativa diretta
dei fedeli, ma accolte ed incoraggiate dai Pastori del luogo. Pur
essendo necessario stabilire norme a questo riguardo, occorreva però
tener conto di quanto richiesto dalla giustizia e dalla
responsabilità che i Pastori assumono di fronte ai fedeli, nel
rispetto della legittima autonomia di ogni ente.
Parte
dispositiva
Di
conseguenza, su proposta del Cardinale Presidente del Pontificio
Consiglio "Cor Unum", sentito il parere del Pontificio
Consiglio per i Testi Legislativi, stabilisco e decreto quanto segue:
Art.
1
§
1. I fedeli hanno il diritto di associarsi e d'istituire organismi
che mettano in atto specifici servizi di carità, soprattutto in
favore dei poveri e dei sofferenti. Nella misura in cui risultino
collegati al servizio di carità dei Pastori della Chiesa e/o
intendano avvalersi per tale motivo del contributo dei fedeli, devono
sottoporre i propri Statuti all'approvazione della competente
autorità ecclesiastica ed osservare le norme che seguono.
§
2. Negli stessi termini, è anche diritto dei fedeli costituire
fondazioni per finanziare concrete iniziative caritative, secondo le
norme dei cann. 1303 CIC e 1047 CCEO. Se questo tipo di fondazioni
rispondesse alle caratteristiche indicate nel § 1 andranno anche
osservate, congrua congruis referendo, le disposizioni della presente
legge.
§
3. Oltre ad osservare la legislazione canonica, le iniziative
collettive di carità a cui fa riferimento il presente Motu Proprio
sono tenute a seguire nella propria attività i principi cattolici e
non possono accettare impegni che in qualche misura possano
condizionare l'osservanza dei suddetti principi.
§
4. Gli organismi e le fondazioni promossi con fini di carità dagli
Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica sono tenuti
all'osservanza delle presenti norme ed in essi deve anche seguirsi
quanto stabilito dai cann. 312 § 2 CIC e 575 § 2 CCEO.
Art.
2
§
1. Negli Statuti di ciascun organismo caritativo a cui fa riferimento
l'articolo precedente, oltre alle cariche istituzionali ed alle
strutture di governo secondo il can. 95 § 1 CIC, saranno espressi
anche i principi ispiratori e le finalità dell'iniziativa, le
modalità di gestione dei fondi, il profilo dei propri operatori,
nonché i rapporti e le informazioni da presentare all'autorità
ecclesiastica competente.
§
2. Un organismo caritativo può usare la denominazione di "cattolico"
solo con il consenso scritto dell'autorità competente, come indicato
dal can. 300 CIC.
§
3. Gli organismi promossi dai fedeli ai fini della carità possono
avere un Assistente ecclesiastico nominato a norma degli Statuti,
secondo i cann. 324 § 2 e 317 CIC.
§
4. Allo stesso tempo, l'autorità ecclesiastica tenga presente il
dovere di regolare l'esercizio dei diritti dei fedeli secondo i cann.
223 § 2 CIC e 26 § 3 CCEO, onde venga evitato il moltiplicarsi
delle iniziative di servizio di carità a detrimento dell'operatività
e dell'efficacia rispetto ai fini che si propongono.
Art.
3
§
1. Agli effetti degli articoli precedenti, s'intende per autorità
competente, nei rispettivi livelli, quella indicata dai cann. 312 CIC
e 575 CCEO.
§
2. Trattandosi di organismi non approvati a livello nazionale, anche
se operanti in varie diocesi, per autorità competente si intende il
Vescovo diocesano del luogo dove l'ente abbia la sua sede principale.
In ogni caso, l'organizzazione ha il dovere di informare i Vescovi
delle altre diocesi ove operasse, e di rispettare le loro indicazioni
riguardanti le attività delle varie entità caritative presenti in
diocesi.
Art.
4
§
1. Il Vescovo diocesano (cfr can. 134 § 3 CIC e can. 987 CCEO)
esercita la propria sollecitudine pastorale per il servizio della
carità nella Chiesa particolare a lui affidata in qualità di
Pastore, guida e primo responsabile di tale servizio.
§
2. Il Vescovo diocesano favorisce e sostiene iniziative ed opere di
servizio al prossimo nella propria Chiesa particolare, e suscita nei
fedeli il fervore della carità operosa come espressione di vita
cristiana e di partecipazione alla missione della Chiesa, come
segnalato dai cann. 215 e 222 CIC e 25 e 18 CCEO.
§
3. Spetta al rispettivo Vescovo diocesano vigilare affinché
nell'attività e nella gestione di questi organismi siano sempre
osservate le norme del diritto universale e particolare della Chiesa,
nonché le volontà dei fedeli che avessero fatto donazioni o lasciti
per queste specifiche finalità (cfr cann. 1300 CIC e 1044 CCEO).
Art.
5
Il
Vescovo diocesano assicuri alla Chiesa il diritto di esercitare il
servizio della carità, e curi che i fedeli e le istituzioni
sottoposte alla sua vigilanza osservino la legittima legislazione
civile in materia.
Art.
6
E'
compito del Vescovo diocesano, come indicato dai cann. 394 § 1 CIC e
203 § 1 CCEO, coordinare nella propria circoscrizione le diverse
opere di servizio di carità, sia quelle promosse dalla Gerarchia
stessa, sia quelle rispondenti all'iniziativa dei fedeli, fatta salva
l'autonomia che loro competesse secondo gli Statuti di ciascuna. In
particolare, curi che le loro attività mantengano vivo lo spirito
evangelico.
Art.
7
§
1. Le entità di cui all'art. 1 § 1 sono tenute a selezionare i
propri operatori tra persone che condividano, o almeno rispettino,
l'identità cattolica di queste opere.
§
2. Per garantire la testimonianza evangelica nel servizio della
carità, il Vescovo diocesano curi che quanti operano nella pastorale
caritativa della Chiesa, accanto alla dovuta competenza
professionale, diano esempio di vita cristiana e testimonino una
formazione del cuore che documenti una fede all'opera nella carità.
A tale scopo provveda alla loro formazione anche in ambito teologico
e pastorale, con specifici curricula concertati con i dirigenti dei
vari organismi e con adeguate offerte di vita spirituale.
Art.
8
Ove
fosse necessario per numero e varietà di iniziative, il Vescovo
diocesano stabilisca nella Chiesa a lui affidata un ufficio che a
nome suo orienti e coordini il servizio della carità.
Art.
9
§
1. Il Vescovo favorisca la creazione, in ogni parrocchia della sua
circoscrizione, d'un servizio di "Caritas" parrocchiale o
analogo, che promuova anche un’azione pedagogica nell’ambito
dell’intera comunità per educare allo spirito di condivisione e di
autentica carità. Qualora risultasse opportuno, tale servizio sarà
costituito in comune per varie parrocchie dello stesso territorio.
§
2. Al Vescovo ed al parroco rispettivo spetta assicurare che,
nell'ambito della parrocchia, insieme alla "Caritas"
possano coesistere e svilupparsi altre iniziative di carità, sotto
il coordinamento generale del parroco, tenendo conto tuttavia di
quanto indicato nell'art. 2 § 4.
§
3. E' dovere del Vescovo diocesano e dei rispettivi parroci evitare
che in questa materia i fedeli possano essere indotti in errore o in
malintesi, sicché dovranno impedire che attraverso le strutture
parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur
presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi
contrari all'insegnamento della Chiesa.
Art.
10
§
1. Al Vescovo spetta la vigilanza sui beni ecclesiastici degli
organismi caritativi soggetti alla sua autorità.
§
2. E' dovere del Vescovo diocesano assicurarsi che i proventi delle
collette svolte ai sensi dei cann. 1265 e 1266 CIC, e cann. 1014 e
1015 CCEO, vengano destinati alle finalità per cui siano stati
raccolti [cann. 1267 CIC, 1016 CCEO).
§
3. In particolare, il Vescovo diocesano deve evitare che gli
organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o
istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della
Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo
diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi
per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non
corrispondano alla dottrina della Chiesa.
§
4. In modo particolare, il Vescovo curi che la gestione delle
iniziative da lui dipendenti sia testimonianza di sobrietà
cristiana. A tale scopo vigilerà affinché stipendi e spese di
gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia ed ai
necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad
analoghe spese della propria Curia diocesana.
§
5. Per consentire che l'autorità ecclesiastica di cui all'art. 3 §
1 possa esercitare il suo dovere di vigilanza, le entità menzionate
nell'art. 1 § 1 sono tenute a presentare all’Ordinario competente
il rendiconto annuale, nel modo indicato dallo stesso Ordinario.
Art.
11
Il
Vescovo diocesano è tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai
propri fedeli il fatto che l'attività d'un determinato organismo di
carità non risponda più alle esigenze dell'insegnamento della
Chiesa, proibendo allora l'uso del nome "cattolico" ed
adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero
responsabilità personali.
Art.
12
§
1. II Vescovo diocesano favorisca l'azione nazionale ed
internazionale degli organismi di servizio della carità sottoposti
alla sua cura, in particolare la cooperazione con le circoscrizioni
ecclesiastiche più povere analogamente a quanto stabilito dai cann.
1274 § 3 CIC e 1021 § 3 CCEO.
§
2. La sollecitudine pastorale per le opere di carità, a seconda
delle circostanze di tempo e di luogo, può essere esplicata
congiuntamente da vari Vescovi viciniori nei riguardi di più Chiese
insieme, a norma del diritto. Se si trattasse di ambito
internazionale, sia consultato preventivamente il competente
Dicastero della Santa Sede. E’ opportuno, inoltre, che, per
iniziative di carità a livello nazionale, sia consultato da parte
del Vescovo l’ufficio relativo della Conferenza Episcopale.
Art.
13
Resta
sempre integro il diritto dell'autorità ecclesiastica del luogo di
dare il suo assenso alle iniziative di organismi cattolici da
svolgere nell'ambito della sua competenza, nel rispetto della
normativa canonica e dell'identità propria dei singoli organismi, ed
è suo dovere di Pastore vigilare perché le attività realizzate
nella propria diocesi si svolgano conformemente alla disciplina
ecclesiastica, proibendole o adottando eventualmente i provvedimenti
necessari se non la rispettassero.
Art.
14
Dove
sia opportuno, il Vescovo promuova le iniziative di servizio della
carità in collaborazione con altre Chiese o Comunità ecclesiali,
fatte salve le peculiarità proprie di ciascuno.
Art.
15
§
1. II Pontificio Consiglio "Cor Unum" ha il compito di
promuovere l'applicazione di questa normativa e di vigilare affinché
sia applicata a tutti i livelli, ferma restando la competenza del
Pontificio Consiglio per i Laici sulle associazioni di fedeli,
prevista dall'art 133 della Cost. ap. Pastor Bonus, e quella propria
della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato
e fatte salve le competenze generali degli altri Dicasteri e
Organismi della Curia Romana. In particolare il Pontificio Consiglio
"Cor Unum" curi che il servizio della carità delle
istituzioni cattoliche in ambito internazionale si svolga sempre in
comunione con le rispettive Chiese particolari.
§
2. Al Pontificio Consiglio "Cor Unum" compete parimenti
l'erezione canonica di organismi di servizio di carità a livello
internazionale, assumendo successivamente i compiti disciplinari e di
promozione che corrispondano in diritto.
Tutto
ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu
Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante
qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e
stabilisco che venga promulgato mediante la pubblicazione sul
quotidiano "L'Osservatore Romano", ed entri in vigore il
giorno 10 dicembre 2012.
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