Città
del Vaticano, 28 luglio 2013 (VIS). Alle 13:00 di ieri, sabato 27
luglio, il Papa ha avuto un incontro con i Cardinali, con la
Presidenza della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile e con i
Vescovi brasiliani nella sede dell'Arcivescovado di Rio de Janeiro.
L'Incontro è stato preceduto da un pranzo. La Conferenza Nazionale
dei Vescovi del Brasile (CNBB) è la più numerosa al mondo, conta
275 Circoscrizioni ecclesiastiche di cui 44 Diocesi Metropolitane,
213 Diocesi, 3 Eparchie, 11 Prelature, 1 Esarcato, un Ordinariato per
fedeli di rito orientale senza Ordinario proprio, un Ordinariato
Militare ed un'Amministrazione Apostolica personale. I Vescovi sono
459, i Cardinali 9, fra i quali cinque elettori. Il Presidente della
CNBB è il Cardinale Raymundo Damasceno Assis, Arcivescovo di
Aparecida.
Di
seguito riportiamo un'ampia sintesi del discorso pronunciato dal
Papa:
1.
Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa
In
Aparecida, Dio ha offerto al Brasile la sua propria Madre. Ma, in
Aparecida, Dio ha dato anche una lezione su Se stesso, circa il suo
modo di essere e di agire. Una lezione sull’umiltà che appartiene
a Dio come tratto essenziale, e che è nel DNA di Dio. C’è
qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida;
un insegnamento che né la Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso
devono dimenticare. All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la
ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche risorse. La gente ha
sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro bisogni,
anche oggi. (...) Prima c’è la fatica, forse la stanchezza, per la
pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un fallimento, un
insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote.
Poi,
quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono
profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è
arrivato di sorpresa, chissà quando non Lo si aspettava più. La
pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio
è arrivato in modo nuovo, perché Dio è sorpresa: un’immagine di
fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata
dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza. Ecco allora
l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la
testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che
era spezzato riprende l’unità. Il Brasile coloniale era diviso dal
muro vergognoso della schiavitù. La Madonna Aparecida si presenta
con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei
pescatori.... (...) In Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un
messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di
compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti
anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare
questa lezione: essere strumento di riconciliazione.
I
pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è
un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del
mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare. C’è
qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un
mistero, come parti di un mosaico, che andiamo incontrando. Noi
vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere
pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa. Poi, i
pescatori portano a casa il mistero. La gente semplice ha sempre
spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro
parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente,
invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova
sempre posto".
I
pescatori (...) rivestono il mistero della Vergine pescata, come se
lei avesse freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede
di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il
cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma
prima entra con l’astuzia di colui che mendica. I pescatori coprono
quel mistero della Vergine con il manto povero della loro fede.
Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata; si riuniscono
intorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza e le
affidano le loro cause. Consentono così che le intenzioni di Dio si
possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad
un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente
dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza.
C’è
da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa
che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa
tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla.
Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto
che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il
desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel
proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i
vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio
da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo
di missione, di Chiesa missionaria. Penso ai pescatori che chiamano i
loro vicini per vedere il mistero della Vergine. Senza la semplicità
del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al
fallimento.
La
Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di
Aparecida, non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono
fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza
dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio
vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri,
perché sempre è Lui che agisce. (...) Il risultato del lavoro
pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla
creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica,
il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto
bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa,
bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è
chiamata a gettare le reti.
Un’altra
lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può
allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio
del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non
riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che
non possono darsi da sé, cioè Dio. A volte, perdiamo coloro che non
ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando
dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza
la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni
che rendono possibile 'pescare' Dio nelle acque profonde del suo
Mistero. Un ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di
incrocio. La strada che univa Rio, la capitale, con San Paolo, la
provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas Gerais, le
miniere molto ambite dalle Corti europee: un crocevia del Brasile
Coloniale. Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può
dimenticare tale vocazione inscritta in sé fin dal suo primo
respiro: essere capace di sistole e diastole, di raccogliere e
diffondere.
2.
L’apprezzamento per il percorso della Chiesa in Brasile
I
Vescovi di Roma hanno avuto sempre il Brasile e la sua Chiesa nel
loro cuore. (...) Oggi, vorrei riconoscere il lavoro senza risparmio
di voi Pastori, nelle vostre Chiese. Penso ai Vescovi nelle foreste,
salendo e scendendo i fiumi, nelle aree semiaride, nel Pantanal,
nella pampa, nelle giungle urbane delle megalopoli. Amate sempre, con
totale dedizione il vostro gregge! Ma penso anche a tanti nomi e
tanti volti, che hanno lasciato impronte incancellabili nel cammino
della Chiesa in Brasile, facendo toccare con mano la grande bontà
del Signore verso questa Chiesa. (...) La Chiesa in Brasile ha
ricevuto e applicato con originalità il Concilio Vaticano II e il
percorso realizzato, pur avendo dovuto superare certe malattie
infantili, ha portato ad una Chiesa gradualmente più matura, aperta,
generosa, missionaria. Oggi siamo in un momento nuovo. Come si è
bene espresso il Documento di Aparecida: non è un’epoca di
cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca. Allora, oggi è sempre
urgente domandarci: che cosa chiede Dio a noi? A questa domanda
vorrei tentare di offrire qualche linea di risposta.
3.
L’icona di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro
Anzitutto
non bisogna cedere alla paura di cui parlava il Beato John Henry
Newman: "Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile,
e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia"
Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle
lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere
degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio
di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non
ci ritengono più credibili, rilevanti.
Rileggiamo
in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus. I due
discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontano dalla “nudità”
di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale
avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto,
umiliato, anche dopo il terzo giorno. Il mistero difficile della
gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate
illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro
Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e
importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro
delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo
lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle
loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse
troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi
linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del
passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva
risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta.
Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di
Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi
gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia
nella teoria che nella pratica.
Di
fronte a questa situazione che cosa fare? Serve una Chiesa che non
abbia paura di entrare nella loro notte (...). Serve una Chiesa che
sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da
Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto,
con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile,
infecondo, incapace di generare senso.
La
globalizzazione implacabile, e l'intensa urbanizzazione spesso
selvagge, hanno promesso molto. Tanti si sono innamorati dalle loro
potenzialità e in esse c’è qualcosa di veramente positivo, come,
per esempio, la diminuzione delle distanze, l'avvicinamento tra le
persone e le culture, la diffusione dell'informazione e dei servizi.
Ma, dall'altro lato, molti vivevano i loro effetti negativi senza
rendersi conto di come essi pregiudicano la propria visione dell'uomo
e del mondo, generando maggiore disorientamento, e un vuoto che non
riescono a spiegare. Alcuni di questi effetti sono la confusione
circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita
dell'esperienza di appartenere a un "nido", la mancanza di
un luogo e di legami profondi.
E
siccome non c'è chi li accompagni e mostri con la propria vita il
vero cammino, molti hanno cercato scorciatoie, perché appare troppo
alta la “misura” della Grande Chiesa. Ci sono anche quelli che
riconoscono l'ideale dell'uomo e di vita proposto dalla Chiesa, ma
non hanno l'audacia di abbracciarlo. Pensano che questo ideale sia
troppo grande per loro, sia fuori delle loro possibilità; la meta a
cui tendere è irraggiungibile. Tuttavia non possono vivere senza
avere almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che sembra
troppo alto e lontano. Con la disillusione nel cuore, vanno alla
ricerca di qualcosa che li illuda ancora una volta, o si rassegnano
ad una adesione parziale, che, in definitiva, non riesce a dare
pienezza alla loro vita. Il grande senso di abbandono e di
solitudine, di non appartenenza neanche a se stessi che spesso emerge
da questa situazione, è troppo doloroso per essere messo a tacere.
C’è bisogno di uno sfogo e allora resta la via del lamento. Ma
anche il lamento diventa a sua volta come un boomerang che torna
indietro e finisce per aumentare l’infelicità. Poca gente è
ancora capace di ascoltare il dolore; bisogna almeno anestetizzarlo.
Davanti
a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di
andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il
cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di
decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle
da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per
le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse
anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper
leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei
discepoli di Emmaus.
Vorrei
che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di
riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme?
Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti:
Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore,
Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste
fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza? Tanti se
ne sono andati poiché è stato loro promesso qualcosa di più alto,
qualcosa di più forte, qualcosa di più veloce. Ma c’è qualcosa
di più alto dell’amore rivelato a Gerusalemme? Nulla è più alto
dell’abbassamento della Croce, poiché lì si raggiunge veramente
l’altezza dell’amore! Siamo ancora in grado di mostrare questa
verità a coloro che pensano che la vera altezza della vita sia
altrove? Si conosce qualcosa di più forte della potenza nascosta
nella fragilità dell’amore, del bene, della verità, della
bellezza?
La
ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi:
Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E
tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di
lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per
ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la
Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza?
Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con
le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la
capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un
varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare.
(...). Serve una Chiesa che torni a portare calore, ad accendere il
cuore. Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti
dei suoi figli che camminano come in un esodo.
4.
Le sfide della Chiesa in Brasile
La
priorità della formazione: Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici.
(...) È
importante promuovere e curare una formazione qualificata che
crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal
buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi
sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare
nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza
lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità. Serve una
solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale. Cari
Fratelli nell’Episcopato, bisogna avere il coraggio di una
revisione a fondo delle strutture di formazione e di preparazione del
clero e del laicato della Chiesa che è in Brasile. (...) I Vescovi
non possono delegare tale compito. Voi non potete delegare tale
compito, ma assumerlo come qualcosa di fondamentale per il cammino
delle vostre Chiese.
Collegialità
e solidarietà della Conferenza Episcopale. (...) È
importante ricordare Aparecida, il metodo di raccogliere la
diversità. Non tanto diversità di idee per produrre un documento,
ma varietà di esperienze di Dio per mettere in moto una dinamica
vitale. (...) Serve, allora, una valorizzazione crescente
dell’elemento locale e regionale. Non è sufficiente la burocrazia
centrale, ma bisogna far crescere la collegialità e la solidarietà,
sarà una vera ricchezza per tutti.
Stato
permanente di missione e conversione pastorale.
(...)
Sulla missione è da ricordare che l’urgenza deriva dalla sua
motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e
sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il
testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria
e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per
trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare
colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità. Sulla
conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è
altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. (...)
Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne
della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi
per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di
comprensione, di perdono, di amore. Nella missione, anche
continentale, è molto importante rinforzare la famiglia, che rimane
cellula essenziale per la società e per la Chiesa; i giovani, che
sono il volto futuro della Chiesa; le donne, che hanno un ruolo
fondamentale nel trasmettere la fede e costituiscono una forza
quotidiana in una società che la porti avanti a la rinnovi. Non
riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il
loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le
donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la
sterilità. Aparecida sottolinea anche la vocazione e la missione
dell'uomo nella famiglia, nella Chiesa e nella società, come padri,
lavoratori e cittadini. Tenetelo in seria considerazione!
Il
compito della Chiesa nella società
Nell’ambito
della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con
particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo
integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche
quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo
custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai
quali deve essere fedele. La Chiesa afferma il diritto di servire
l’uomo nella sua interezza, dicendogli quello che Dio ha rivelato
circa l’uomo e la sua realizzazione, ed essa desidera rendere
presente quel patrimonio immateriale senza il quale la società si
sfalda (...). La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa
la fiamma della libertà e dell’unità dell’uomo. Educazione,
salute, pace sociale sono le urgenze brasiliane. La Chiesa ha una
parola da dire sui questi temi, perché per rispondere adeguatamente
a tali sfide non sono sufficienti soluzioni meramente tecniche, ma
bisogna avere una sottostante visione dell’uomo, della sua libertà,
del suo valore, della sua apertura al trascendente. E voi, (...) non
abbiate timore di offrire (...) questa parola "incarnata"
anche con la testimonianza.
L’Amazzonia
come cartina di tornasole, banco di prova per la Chiesa e la società
brasiliane
(...)
La Chiesa è in Amazzonia non come chi ha le valigie in mano per
partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto. La Chiesa è
presente in Amazzonia sin dall’inizio con missionari, congregazioni
religiose, sacerdoti, laici e vescovi, e tuttora è presente e
determinante per il futuro dell’area. (...) Vorrei invitare tutti a
riflettere su quello che Aparecida ha detto sull’Amazzonia, anche
il forte richiamo al rispetto e alla custodia dell'intera creazione
che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente,
ma perché lo renda un giardino.
(...)
Cari Confratelli, ho cercato di offrivi in modo fraterno delle
riflessioni e delle linee di lavoro in una Chiesa come quella in
Brasile che è un grande mosaico di piccole pietre, di immagini, di
forme, di problemi, di sfide, ma che proprio per questo è una enorme
ricchezza. La Chiesa non è mai uniformità, ma diversità che si
armonizzano nell’unità e questo vale in ogni realtà ecclesiale.
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