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martedì 28 dicembre 2010

SIGNORE REALIZZA PROMESSA: ‘LA PACE NON AVRÀ FINE’

CITTA' DEL VATICANO, 24 DIC. 2010 (VIS). Alle ore 22:00, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2010.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha tenuto l’omelia.

“‘Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato’ – con questa parola del Salmo secondo, la Chiesa inizia la liturgia della Notte Santa. Essa sa che questa parola originariamente apparteneva al rituale dell’incoronazione dei re d’Israele. Il re, che di per sé è un essere umano come gli altri uomini, diventa ‘figlio di Dio’ mediante la chiamata e l’insediamento nel suo ufficio: è una specie di adozione da parte di Dio, un atto di decisione, mediante il quale Egli dona a quell’uomo una nuova esistenza, lo attrae nel suo proprio essere”.

“L’insediamento nell’ufficio del re è come una nuova nascita. Proprio come nuovo nato dalla decisione personale di Dio, come bambino proveniente da Dio, il re costituisce una speranza. Sulle sue spalle poggia il futuro. Egli è il detentore della promessa di pace. Nella notte di Betlemme, questa parola profetica è diventata realtà (...). Sì, ora è veramente un bambino Colui sulle cui spalle è il potere. In Lui appare la nuova regalità che Dio istituisce nel mondo. (...) Proprio nella debolezza dell’essere bambino Egli è il Dio forte e ci mostra così, di fronte ai poteri millantatori del mondo, la fortezza propria di Dio”.

“Le parole del rituale dell’incoronazione in Israele, in verità, erano sempre soltanto rituali di speranza, che prevedevano da lontano un futuro che sarebbe stato donato da Dio. Nessuno dei re salutati in questo modo corrispondeva alla sublimità di tali parole. (...) Così l’adempimento della parola che inizia nella notte di Betlemme è al contempo immensamente più grande e – dal punto di vista del mondo – più umile di ciò che la parola profetica lasciava intuire. (...) L’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata. Dio non si è soltanto chinato verso il basso, come dicono i Salmi; Egli è veramente ‘disceso’, entrato nel mondo, diventato uno di noi per attrarci tutti a sé. (...) Nella vastità universale della santa Eucaristia, Egli ha veramente eretto isole di pace. Ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di pace, di quella pace che è propria di Dio. Questo bambino ha acceso negli uomini la luce della bontà e ha dato loro la forza di resistere alla tirannia del potere. In ogni generazione Egli costruisce il suo regno dal di dentro, a partire dal cuore”.

“Ma è anche vero che ‘il bastone dell’aguzzino’ non è stato spezzato. Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il ‘mantello intriso di sangue’ (Is 9,3s). Così fa parte di questa notte la gioia per la vicinanza di Dio. Ringraziamo perché Dio, come bambino, si dà nelle nostre mani, mendica, per così dire, il nostro amore, infonde la sua pace nel nostro cuore. Questa gioia, tuttavia, è anche una preghiera: Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa’ che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: ‘La pace non avrà fine’ (Is 9,6). Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del tuo amore – il ‘regno della giustizia, dell’amore e della pace’".

“‘Maria diede alla luce il suo figlio primogenito’. (...) Nel linguaggio formatosi nella Sacra Scrittura dell’Antica Alleanza, ‘primogenito’ non significa il primo di una serie di altri figli. La parola ‘primogenito’ è un titolo d’onore, indipendentemente dalla questione se poi seguono altri fratelli e sorelle o no. (...) Il primogenito appartiene in modo particolare a Dio, e per questo egli – come in molte religioni – doveva essere in modo particolare consegnato a Dio ed essere riscattato mediante un sacrificio sostitutivo, come san Luca racconta nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio. Il primogenito appartiene a Dio in modo particolare, è, per così dire, destinato al sacrificio. Nel sacrificio di Gesù sulla croce, la destinazione del primogenito si compie in modo unico. In se stesso, Egli offre l’umanità a Dio e unisce uomo e Dio in modo tale che Dio sia tutto in tutti. (...) L’uomo può essere immagine di Dio, perché Gesù è Dio e Uomo, la vera immagine di Dio e dell’uomo. Egli è il primogenito dei morti (...). Nella Risurrezione, Egli ha sfondato il muro della morte per tutti noi. Ha aperto all’uomo la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. (...) Ora Egli è tuttavia il primo di una serie di fratelli, il primo, cioè, che inaugura per noi l’essere in comunione con Dio. Egli crea la vera fratellanza – non la fratellanza, deturpata dal peccato, di Caino ed Abele, di Romolo e Remo, ma la fratellanza nuova in cui siamo la famiglia stessa di Dio”.

“Il Vangelo di Natale ci racconta, alla fine, che una moltitudine di angeli dell’esercito celeste lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama’. La Chiesa ha amplificato, nel ‘Gloria’, questa lode, che gli angeli hanno intonato di fronte all’evento della Notte Santa, facendone un inno di gioia sulla gloria di Dio. (...) L’apparire della bellezza, del bello, ci rende lieti senza che dobbiamo interrogarci sulla sua utilità. (...) Ma anche degli uomini parla il messaggio degli angeli nella Notte Santa: ‘Pace agli uomini che egli ama’. La traduzione latina di tale parola, che usiamo nella liturgia e che risale a Girolamo, suona diversamente: ‘Pace agli uomini di buona volontà’. (...) Sarebbe sbagliata un’interpretazione che riconoscesse soltanto l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore. Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso. Ambedue le cose vanno insieme: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta (...). L’intreccio di grazia e libertà, l’intreccio di chiamata e risposta non lo possiamo scindere in parti separate l’una dall’altra”.

“Luca non ha detto che gli angeli hanno cantato. Egli scrive molto sobriamente: l’esercito celeste lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli…’ (Lc 2,13s). Ma da sempre gli uomini sapevano che il parlare degli angeli è diverso da quello degli uomini; che proprio in questa notte del lieto messaggio esso è stato un canto in cui la gloria sublime di Dio ha brillato. (...) In quest’ora noi ci associamo pieni di gratitudine a questo cantare di tutti i secoli, che unisce cielo e terra, angeli e uomini”.
HML/ VIS 20101228 (1140)

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