Città
del Vaticano, 14 dicembre 2012
(VIS). "Beati gli operatori di pace" è il titolo del
Messaggio del Santo Padre per la XLVI Giornata Mondiale della Pace
che si celebra ogni anno il 1° gennaio. Di seguito pubblichiamo il
testo integrale, datato dal Vaticano, 8 dicembre 2012.
1.-
Ogni nuovo anno porta con sé l'attesa di un mondo migliore. In tale
prospettiva, prego Dio, Padre dell'umanità, di concederci la
concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le
aspirazioni di una vita felice e prospera. A 50 anni dall'inizio del
Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione
della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale
Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si
impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed
angosce, annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per
tutti.
In
effetti, i nostri tempi, contrassegnati alla globalizzazione, con i
suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti
ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e
corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti
gli uomini e di tutto l'uomo.
Allarmano
i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti
diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità
egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo
finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di
criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei
fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della
religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra
gli uomini.
E
tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo,
testimoniano l'innata vocazione dell'umanità alla pace. In ogni
persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in
certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben
realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un
principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno
sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno
di Dio sull'uomo. L'uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.
Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle
parole di Gesù Cristo: "Beati gli operatori di pace, perché
saranno chiamati figli di Dio".
La
beatitudine evangelica
2.
Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23),
sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della
beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una
buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi,
le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui
osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito
nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura
felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di
una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle
esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si
affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del
mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi
che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di
essere figli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto
solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è
dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia
e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad
offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù
Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso:
la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia,
pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in
particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso
dell’uomo con Dio.
La
beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera
umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto
alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo
arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di
vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica
della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che
le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su
assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in
forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a
criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa,
la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti,
sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo
smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di
una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento
dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella
coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in
termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura
non è creata dall’uomo, bensì da Dio. «Il Signore darà potenza
al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace», ricorda il
Salmo 29 (v. 11).
La
pace: dono di Dio e opera dell’uomo
3.
La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il
coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo
la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore
con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come
scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris,
di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la
costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà,
sull’amore e sulla giustizia. 2 La negazione di ciò che
costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni
essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il
bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la
costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal
Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la
giustizia perde il fondamento del suo esercizio. Per diventare
autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla
dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre
misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione
conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere
quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato
in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di
potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste. La
realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di
essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha
insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni
interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un «noi»
comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si
riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci
diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed
integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le
esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere
sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È
ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla
dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale,
assumono la responsabilità del proprio operare.
La
pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri
occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle
apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che
esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e
chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo
nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la
redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere
una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger
31,31-34), dandoci la possibilità di avere «un cuore nuovo» e «uno
spirito nuovo» (cfr Ez 36,26). Proprio per questo, la Chiesa è
convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo,
primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e
anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra
giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18).
L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che
ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo,
oggi e domani.
Da
questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità
– religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad
operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene
comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali,
internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può
ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie
da percorrere per ottenere la pace.
Operatori
di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella
sua integralità
4.
Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il
rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi
aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e
sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora,
coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le
sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in
pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può
tollerare attentati e delitti contro la vita.
Coloro
che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per
conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto,
forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento
di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la
persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e
innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può,
infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei
popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia
tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai
nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca
inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace,
all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi
diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e
relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di
espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto
e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.
Anche
la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa,
quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di
renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di
unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua
destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo
insostituibile ruolo sociale.
Questi
principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del
diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura
umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a
tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha
dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone,
prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto
più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal
compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità
della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla
pace.
Perciò,
è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti
giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il
diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei
confronti di leggi e misure governative che attentano contro la
dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.
Tra
i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è
quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In
questo momento storico, diventa sempre più importante che tale
diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come
libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la
libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di
vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad
esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e
comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di
beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti
religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati
secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro
propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si
stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie
nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente
indossano i segni identitari della propria religione.
L’operatore
di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti
dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della
tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita
economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della
funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della
società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va
considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la
piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e
politici.
Tra
i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il
diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro
e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non
vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico
dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro
viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi
economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità
dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche,
esigono che si continui «a perseguire quale priorità l’obiettivo
dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti». In
vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è
precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su
principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione
come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un
tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose
e nuove politiche del lavoro per tutti.
Costruire
il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di
economia
5.
Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo
modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia
uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune
esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile
strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente
avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur
apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo,
quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la
prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il
primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione
del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta
valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.
Per
uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per
effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie
persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la
creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di
discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli
ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del
profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica,
intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere
alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva,
invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé,
delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza,
poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano,
ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità
e della logica del dono. Concretamente, nell’attività economica
l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i
collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti
di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica
per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là
del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e
future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare
agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.
Nell’ambito
economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati,
politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del
progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto
e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la
strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali;
essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in
modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei
molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior
risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a
considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella
finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti
alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica
internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle
oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a
comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e
a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità
internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace
sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal
livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere
gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in
condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e
sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.
Educazione
per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni
6.
Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono
chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e
per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida
educazione sociale.
Nessuno
può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia,
cellula base della società dal punto di vista demografico, etico,
pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a
promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le
sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In
specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto
dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore
divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella
realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto
dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in
primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono
e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura
della vita e dell’amore.
6
In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in
particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di
una così grande responsabilità attraverso la nuova
evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità
e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e
morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo
plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al
superamento dell’ingiustizia.
Una
missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle
istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è
richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove
generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni
pubbliche, nazionali e internazionali Esse possono anche contribuire
ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e
finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo
attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un
nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare
tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista
del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni
interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita
integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera
educazione alla pace.
Una
pedagogia dell’operatore di pace
7.
Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una
pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari
e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita
appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il
bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa.
Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura
della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità.
Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla
pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza.
Incoraggiamento fondamentale è quello di «dire no alla vendetta, di
riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e
infine di perdonare», in modo che gli sbagli e le offese possano
essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la
riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del
perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va
ricercata imitando Dio Padre che ama tutti i suoi figli (cfr Mt
5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione
spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova
della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono
gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella
falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta
verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata
vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace
implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.
Gesù
incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fino
al dono totale di sé, fino a «perdere la vita» (cfr Mt 10,39; Lc
17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi,
faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato
inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù,
pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei
ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti
della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono
ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme
al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili
dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto
benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso
dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere
che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a
comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie,
così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si
affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima
pace.
Con
questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e
costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in
fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.
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