Città
del Vaticano, 12 dicembre 2013
(VIS). "Fraternità, fondamento e via per la pace" è il
titolo scelto da Papa Francesco per il suo primo Messaggio per la 47a
Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2014. Il
documento, datato 8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione
della Beata Vergine Maria, è costituito di dieci sezioni, che
includono un breve prologo e una conclusione, con due citazioni
bibliche: "Dov'è tuo fratello?" (Gen 4,9) e "E voi
siete tutti fratelli" (Mt 23,8) e sei frasi sulla fraternità:
"Fraternità, fondamento e via per la pace"; "Fraternità,
premessa per sconfiggere la povertà"; "La riscoperta della
fraternità nell'economia"; "La fraternità spegne la
guerra; "La corruzione e il crimine organizzato avversano la
fraternità"; "La fraternità aiuta a custodire e a
coltivare la natura".
Di
seguito riportiamo il testo integrale del Messaggio:
"Fraternità,
fondamento e via per la pace
1.
In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace,
desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di
un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e
di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla
quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che
sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non
nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.
Infatti,
la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è
un essere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità
ci porta a vedere e trattare ogni persona come una vera sorella e un
vero fratello; senza di essa diventa impossibile la costruzione di
una società giusta, di una pace solida e duratura. E occorre subito
ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in
seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e
complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e
della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò
è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per
vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.
Il
numero sempre crescente di interconnessioni e di comunicazioni che
avviluppano il nostro pianeta rende più palpabile la consapevolezza
dell’unità e della condivisione di un comune destino tra le
Nazioni della terra. Nei dinamismi della storia, pur nella diversità
delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così
la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si
accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Tale
vocazione è però ancor oggi spesso contrastata e smentita nei
fatti, in un mondo caratterizzato da quella 'globalizzazione
dell’indifferenza' che ci fa lentamente 'abituare' alla sofferenza
dell’altro, chiudendoci in noi stessi.
In
tante parti del mondo, sembra non conoscere sosta la grave lesione
dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e
di quello alla libertà di religione. Il tragico fenomeno del
traffico degli esseri umani, sulla cui vita e disperazione speculano
persone senza scrupoli, ne rappresenta un inquietante esempio. Alle
guerre fatte di scontri armati si aggiungono guerre meno visibili, ma
non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario
con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese.
La
globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma
non ci rende fratelli. Inoltre, le molte situazioni di sperequazione,
di povertà e di ingiustizia, segnalano non solo una profonda carenza
di fraternità, ma anche l’assenza di una cultura della
solidarietà. Le nuove ideologie, caratterizzate da diffuso
individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico,
indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello
'scarto', che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli,
di coloro che vengono considerati 'inutili'. Così la convivenza
umana diventa sempre più simile a un mero 'do ut des' pragmatico ed
egoista.
In
pari tempo appare chiaro che anche le etiche contemporanee risultano
incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una
fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo
fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Una vera fraternità tra
gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente. A partire
dal riconoscimento di questa paternità, si consolida la fraternità
tra gli uomini, ovvero quel farsi 'prossimo' che si prende cura
dell’altro.
'Dov’è
tuo fratello?' (Gen 4,9)
2.
Per comprendere meglio questa vocazione dell’uomo alla fraternità,
per riconoscere più adeguatamente gli ostacoli che si frappongono
alla sua realizzazione e individuare le vie per il loro superamento,
è fondamentale farsi guidare dalla conoscenza del disegno di Dio,
quale è presentato in maniera eminente nella Sacra Scrittura.
Secondo
il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori
comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e
somiglianza, (cfr Gen 1,26) da cui nascono Caino e Abele. Nella
vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società,
l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli.
Abele
è pastore, Caino è contadino. La loro identità profonda e,
insieme, la loro vocazione, è quella di essere fratelli, pur nella
diversità della loro attività e cultura, del loro modo di
rapportarsi con Dio e con il creato. Ma l’uccisione di Abele da
parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della
vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16)
evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati,
di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro. Caino, non
accettando la predilezione di Dio per Abele, che gli offriva il
meglio del suo gregge – 'il Signore gradì Abele e la sua offerta,
ma non gradì Caino e la sua offerta' (Gen 4,4-5( – uccide per
invidia Abele. In questo modo rifiuta di riconoscersi fratello, di
relazionarsi positivamente con lui, di vivere davanti a Dio,
assumendo le proprie responsabilità di cura e di protezione
dell’altro. Alla domanda 'Dov’è tuo fratello?', con la quale Dio
interpella Caino, chiedendogli conto del suo operato, egli risponde:
'Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?'. (Gen 4,9) Poi,
ci dice la Genesi, 'Caino si allontanò dal Signore' (4,16).
Occorre
interrogarsi sui motivi profondi che hanno indotto Caino a
misconoscere il vincolo di fraternità e, assieme, il vincolo di
reciprocità e di comunione che lo legava a suo fratello Abele. Dio
stesso denuncia e rimprovera a Caino una contiguità con il male: 'il
peccato è accovacciato alla tua porta' (Gen 4,7). Caino, tuttavia,
si rifiuta di opporsi al male e decide di alzare ugualmente la sua
'mano contro il fratello Abele' (Gen 4,8), disprezzando il progetto
di Dio. Egli frustra così la sua originaria vocazione ad essere
figlio di Dio e a vivere la fraternità.
Il
racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in
sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità
drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano,
che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e
donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno
riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per
la comunione e per il dono.
'E
voi siete tutti fratelli' (Mt 23,8)
3.
Sorge spontanea la domanda: gli uomini e le donne di questo mondo
potranno mai corrispondere pienamente all’anelito di fraternità,
impresso in loro da Dio Padre? Riusciranno con le loro sole forze a
vincere l’indifferenza, l’egoismo e l’odio, ad accettare le
legittime differenze che caratterizzano i fratelli e le sorelle?
Parafrasando
le sue parole, potremmo così sintetizzare la risposta che ci dà il
Signore Gesù: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete
tutti fratelli (cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è
contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità
generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore
personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun
uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque, efficacemente
generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è
accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione
dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini
alla solidarietà e alla condivisione operosa.
In
particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo
con la sua morte e risurrezione. La croce è il 'luogo' definitivo di
fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di
generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per
redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr
Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità
nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo
progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla
fraternità.
Gesù
riprende dal principio il progetto del Padre, riconoscendogli il
primato su ogni cosa. Ma il Cristo, con il suo abbandono alla morte
per amore del Padre, diventa principio nuovo e definitivo di tutti
noi, chiamati a riconoscerci in Lui come fratelli perché figli dello
stesso Padre. Egli è l’Alleanza stessa, lo spazio personale della
riconciliazione dell’uomo con Dio e dei fratelli tra loro. Nella
morte in croce di Gesù c’è anche il superamento della separazione
tra popoli, tra il popolo dell’Alleanza e il popolo dei Gentili,
privo di speranza perché fino a quel momento rimasto estraneo ai
patti della Promessa. Come si legge nella Lettera agli Efesini, Gesù
Cristo è colui che in sé riconcilia tutti gli uomini. Egli è la
pace, poiché dei due popoli ne ha fatto uno solo, abbattendo il muro
di separazione che li divideva, ovvero l’inimicizia. Egli ha creato
in se stesso un solo popolo, un solo uomo nuovo, una sola nuova
umanità (cfr 2,14-16).
Chi
accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre e a
Lui dona totalmente se stesso, amandolo sopra ogni cosa. L’uomo
riconciliato vede in Dio il Padre di tutti e, per conseguenza, è
sollecitato a vivere una fraternità aperta a tutti. In Cristo,
l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come
fratello o sorella, non come un estraneo, tanto meno come un
antagonista o addirittura un nemico. Nella famiglia di Dio, dove
tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo,
figli nel Figlio, non vi sono 'vite di scarto'. Tutti godono di
un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti
sono stati riscattati dal sangue di Cristo, morto in croce e risorto
per ognuno. È questa la ragione per cui non si può rimanere
indifferenti davanti alla sorte dei fratelli.
La
fraternità, fondamento e via per la pace
4.
Ciò premesso, è facile comprendere che la fraternità è fondamento
e via per la pace. Le Encicliche sociali dei miei Predecessori
offrono un valido aiuto in tal senso. Sarebbe sufficiente rifarsi
alle definizioni di pace della 'Populorum progressio' di Paolo VI o
della 'Sollicitudo rei socialis' di Giovanni Paolo II. Dalla prima
ricaviamo che lo sviluppo integrale dei popoli è il nuovo nome della
pace. Dalla seconda, che la pace è 'opus solidaritatis'. Paolo VI
afferma che non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono
incontrarsi in uno spirito di fraternità. E spiega: 'In questa
comprensione e amicizia vicendevoli, in questa comunione sacra noi
dobbiamo […] lavorare assieme per edificare l’avvenire comune
dell’umanità. Questo dovere riguarda in primo luogo i più
favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e
soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere
di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno
progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il
ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra
popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che
implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel
quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il
progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli
altri.
Così,
se si considera la pace come 'opus solidaritatis', allo stesso modo,
non si può pensare che la fraternità non ne sia il fondamento
precipuo. La pace, afferma Giovanni Paolo II, è un bene
indivisibile. O è bene di tutti o non lo è di nessuno. Essa può
essere realmente conquistata e fruita, come miglior qualità della
vita e come sviluppo più umano e sostenibile, solo se si attiva, da
parte di tutti, 'una determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune'. Ciò implica di non farsi guidare
dalla 'brama del profitto' e dalla 'sete del potere'. Occorre avere
la disponibilità a 'perdersi' a favore dell’altro invece di
sfruttarlo, e a 'servirlo' invece di opprimerlo per il proprio
tornaconto. […] L’'altro' – persona, popolo o Nazione – [non
va visto] come uno strumento qualsiasi, per sfruttare a basso costo
la sua capacità di lavoro e la resistenza fisica, abbandonandolo poi
quando non serve più, ma come un nostro 'simile', un 'aiuto'.
La
solidarietà cristiana presuppone che il prossimo sia amato non solo
come 'un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale
eguaglianza davanti a tutti, ma [come] viva immagine di Dio Padre,
riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione
permanente dello Spirito Santo', come un altro fratello. 'Allora la
coscienza della paternità comune di Dio, della fraternità di tutti
gli uomini in Cristo, 'figli nel Figlio', della presenza e
dell’azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà –
rammenta Giovanni Paolo II – al nostro sguardo sul mondo come un
nuovo criterio per interpretarlo', per trasformarlo.
Fraternità,
premessa per sconfiggere la povertà
5.
Nella 'Caritas in veritate' il mio Predecessore ricordava al mondo
come la mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini sia una
causa importante della povertà. In molte società sperimentiamo una
profonda povertà relazionale dovuta alla carenza di solide relazioni
familiari e comunitarie. Assistiamo con preoccupazione alla crescita
di diversi tipi di disagio, di emarginazione, di solitudine e di
varie forme di dipendenza patologica. Una simile povertà può essere
superata solo attraverso la riscoperta e la valorizzazione di
rapporti fraterni in seno alle famiglie e alle comunità, attraverso
la condivisione delle gioie e dei dolori, delle difficoltà e dei
successi che accompagnano la vita delle persone.
Inoltre,
se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta,
dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita
della povertà relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi
che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto
storico-culturale. In tal senso, servono anche politiche efficaci che
promuovano il principio della fraternità, assicurando alle persone -
eguali nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali - di
accedere ai 'capitali', ai servizi, alle risorse educative,
sanitarie, tecnologiche affinché ciascuno abbia l’opportunità di
esprimere e di realizzare il suo progetto di vita, e possa
svilupparsi in pienezza come persona.
Si
ravvisa anche la necessità di politiche che servano ad attenuare una
eccessiva sperequazione del reddito. Non dobbiamo dimenticare
l’insegnamento della Chiesa sulla cosiddetta ipoteca sociale, in
base alla quale se è lecito, come dice san Tommaso d’Aquino, anzi
necessario 'che l’uomo abbia la proprietà dei beni', quanto
all’uso, li 'possiede non solo come propri, ma anche come comuni,
nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli
altri'.
Infine,
vi è un ulteriore modo di promuovere la fraternità - e così
sconfiggere la povertà - che dev’essere alla base di tutti gli
altri. È il distacco di chi sceglie di vivere stili di vita sobri ed
essenziali, di chi, condividendo le proprie ricchezze, riesce così a
sperimentare la comunione fraterna con gli altri. Ciò è
fondamentale per seguire Gesù Cristo ed essere veramente cristiani.
È il caso non solo delle persone consacrate che professano voto di
povertà, ma anche di tante famiglie e tanti cittadini responsabili,
che credono fermamente che sia la relazione fraterna con il prossimo
a costituire il bene più prezioso.
La
riscoperta della fraternità nell’economia
6.
Le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee - che trovano
la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e
dal prossimo, nella ricerca avida di beni materiali, da un lato, e
nel depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie
dall’altro - hanno spinto molti a ricercare la soddisfazione, la
felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica
di una sana economia. Già nel 1979 Giovanni Paolo II avvertiva
l’esistenza di 'un reale e percettibile pericolo che, mentre
progredisce enormemente il dominio da parte dell’uomo sul mondo
delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in
vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso
divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente
percettibile, manipolazione, mediante tutta l’organizzazione della
vita comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la
pressione dei mezzi di comunicazione sociale'.
Il
succedersi delle crisi economiche deve portare agli opportuni
ripensamenti dei modelli di sviluppo economico e a un cambiamento
negli stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggio
per la vita delle persone, può essere anche un’occasione propizia
per recuperare le virtù della prudenza, della temperanza, della
giustizia e della fortezza. Esse ci possono aiutare a superare i
momenti difficili e a riscoprire i vincoli fraterni che ci legano gli
uni agli altri, nella fiducia profonda che l’uomo ha bisogno ed è
capace di qualcosa in più rispetto alla massimizzazione del proprio
interesse individuale. Soprattutto tali virtù sono necessarie per
costruire e mantenere una società a misura della dignità umana.
La
fraternità spegne la guerra
7.
Nell’anno trascorso, molti nostri fratelli e sorelle hanno
continuato a vivere l’esperienza dilaniante della guerra, che
costituisce una grave e profonda ferita inferta alla fraternità.
Molti
sono i conflitti che si consumano nell’indifferenza generale. A
tutti coloro che vivono in terre in cui le armi impongono terrore e
distruzioni, assicuro la mia personale vicinanza e quella di tutta la
Chiesa. Quest’ultima ha per missione di portare la carità di
Cristo anche alle vittime inermi delle guerre dimenticate, attraverso
la preghiera per la pace, il servizio ai feriti, agli affamati, ai
rifugiati, agli sfollati e a quanti vivono nella paura. La Chiesa
alza altresì la sua voce per far giungere ai responsabili il grido
di dolore di quest’umanità sofferente e per far cessare, insieme
alle ostilità, ogni sopruso e violazione dei diritti fondamentali
dell’uomo.
Per
questo motivo desidero rivolgere un forte appello a quanti con le
armi seminano violenza e morte: riscoprite in colui che oggi
considerate solo un nemico da abbattere il vostro fratello e fermate
la vostra mano! Rinunciate alla via delle armi e andate incontro
all’altro con il dialogo, il perdono e la riconciliazione per
ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza intorno a voi! 'In
quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti
armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile
concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti
ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre
costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle
grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è
data'.
Tuttavia,
finché ci sarà una così grande quantità di armamenti in
circolazione come quella attuale, si potranno sempre trovare nuovi
pretesti per avviare le ostilità. Per questo faccio mio l’appello
dei miei Predecessori in favore della non proliferazione delle armi e
del disarmo da parte di tutti, a cominciare dal disarmo nucleare e
chimico.
Non
possiamo però non constatare che gli accordi internazionali e le
leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non
sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio
dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori che
permetta a ciascuno di riconoscere nell’altro un fratello di cui
prendersi cura, con il quale lavorare insieme per costruire una vita
in pienezza per tutti. È questo lo spirito che anima molte delle
iniziative della società civile, incluse le organizzazioni
religiose, in favore della pace. Mi auguro che l’impegno quotidiano
di tutti continui a portare frutto e che si possa anche giungere
all’effettiva applicazione nel diritto internazionale del diritto
alla pace, quale diritto umano fondamentale, pre-condizione
necessaria per l’esercizio di tutti gli altri diritti.
La
corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità
8.
L’orizzonte della fraternità rimanda alla crescita in pienezza di
ogni uomo e donna. Le giuste ambizioni di una persona, soprattutto se
giovane, non vanno frustrate e offese, non va rubata la speranza di
poterle realizzare. Tuttavia, l’ambizione non va confusa con la
prevaricazione. Al contrario, occorre gareggiare nello stimarsi a
vicenda (cfr Rm 12,10). Anche nelle dispute, che costituiscono un
aspetto ineliminabile della vita, bisogna sempre ricordarsi di essere
fratelli e perciò educare ed educarsi a non considerare il prossimo
come un nemico o come un avversario da eliminare.
La
fraternità genera pace sociale perché crea un equilibrio fra
libertà e giustizia, fra responsabilità personale e solidarietà,
fra bene dei singoli e bene comune. Una comunità politica deve,
allora, agire in modo trasparente e responsabile per favorire tutto
ciò. I cittadini devono sentirsi rappresentati dai poteri pubblici
nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra cittadino e
istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale
relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto.
Un
autentico spirito di fraternità vince l’egoismo individuale che
contrasta la possibilità delle persone di vivere in libertà e in
armonia tra di loro. Tale egoismo si sviluppa socialmente sia nelle
molte forme di corruzione, oggi così capillarmente diffuse, sia
nella formazione delle organizzazioni criminali, dai piccoli gruppi a
quelli organizzati su scala globale, che, logorando in profondità la
legalità e la giustizia, colpiscono al cuore la dignità della
persona. Queste organizzazioni offendono gravemente Dio, nuocciono ai
fratelli e danneggiano il creato, tanto più quando hanno
connotazioni religiose.
Penso
al dramma lacerante della droga, sulla quale si lucra in spregio a
leggi morali e civili; alla devastazione delle risorse naturali e
all’inquinamento in atto; alla tragedia dello sfruttamento del
lavoro; penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione
finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per
interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni
di uomini e donne; penso alla prostituzione che ogni giorno miete
vittime innocenti, soprattutto tra i più giovani rubando loro il
futuro; penso all’abominio del traffico di esseri umani, ai reati e
agli abusi contro i minori, alla schiavitù che ancora diffonde il
suo orrore in tante parti del mondo, alla tragedia spesso inascoltata
dei migranti sui quali si specula indegnamente nell’illegalità.
Scrisse al riguardo Giovanni XXIII: 'Una convivenza fondata soltanto
su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che
le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e
stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse'. L’uomo, però, si
può convertire e non bisogna mai disperare della possibilità di
cambiare vita. Desidererei che questo fosse un messaggio di fiducia
per tutti, anche per coloro che hanno commesso crimini efferati,
poiché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e
viva (cfr Ez 18,23).
Nel
contesto ampio della socialità umana, guardando al delitto e alla
pena, viene anche da pensare alle condizioni inumane di tante
carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e
viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni
volontà ed espressione di riscatto. La Chiesa fa molto in tutti
questi ambiti, il più delle volte nel silenzio. Esorto ed incoraggio
a fare sempre di più, nella speranza che tali azioni messe in campo
da tanti uomini e donne coraggiosi possano essere sempre più
sostenute lealmente e onestamente anche dai poteri civili.
La
fraternità aiuta a custodire e a coltivare la natura
9.
La famiglia umana ha ricevuto dal Creatore un dono in comune: la
natura. La visione cristiana della creazione comporta un giudizio
positivo sulla liceità degli interventi sulla natura per trarne
beneficio, a patto di agire responsabilmente, cioè riconoscendone
quella 'grammatica' che è in essa inscritta ed usando saggiamente le
risorse a vantaggio di tutti, rispettando la bellezza, la finalità e
l’utilità dei singoli esseri viventi e la loro funzione
nell’ecosistema. Insomma, la natura è a nostra disposizione, e noi
siamo chiamati ad amministrarla responsabilmente. Invece, siamo
spesso guidati dall’avidità, dalla superbia del dominare, del
possedere, del manipolare, dello sfruttare; non custodiamo la natura,
non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui
avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le
generazioni future.
In
particolare, il settore agricolo è il settore produttivo primario
con la vitale vocazione di coltivare e custodire le risorse naturali
per nutrire l’umanità. A tale riguardo, la persistente vergogna
della fame nel mondo mi incita a condividere con voi la domanda: in
che modo usiamo le risorse della terra? Le società odierne devono
riflettere sulla gerarchia delle priorità a cui si destina la
produzione. Difatti, è un dovere cogente che si utilizzino le
risorse della terra in modo che tutti siano liberi dalla fame. Le
iniziative e le soluzioni possibili sono tante e non si limitano
all’aumento della produzione. È
risaputo che quella attuale è sufficiente, eppure ci sono milioni di
persone che soffrono e muoiono di fame e ciò costituisce un vero
scandalo. È necessario allora trovare i modi affinché tutti possano
beneficiare dei frutti della terra, non soltanto per evitare che si
allarghi il divario tra chi più ha e chi deve accontentarsi delle
briciole, ma anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di
equità e di rispetto verso ogni essere umano. In tal senso, vorrei
richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni
che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa.
Rispettare tale principio è la condizione essenziale per consentire
un fattivo ed equo accesso a quei beni essenziali e primari di cui
ogni uomo ha bisogno e diritto.
Conclusione
10.
La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata,
annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci
consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.
Il
necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi
ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione
trascendente dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni
attività umana diventa più povera e le persone vengono ridotte a
oggetti da sfruttare. Solo se accettano di muoversi nell’ampio
spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni uomo e ogni
donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla
base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere
strumento efficace di sviluppo umano integrale e di pace.
Noi
cristiani crediamo che nella Chiesa siamo membra gli uni degli altri,
tutti reciprocamente necessari, perché ad ognuno di noi è stata
data una grazia secondo la misura del dono di Cristo, per l’utilità
comune (cfr Ef 4,7.25; 1 Cor 12,7). Cristo è venuto nel mondo per
portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla
sua vita. Ciò comporta tessere una relazionalità fraterna,
improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé,
secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto
all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé:
'Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come
io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per
gli altri' (Gv 13,34-35). È questa la buona novella che richiede ad
ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto
della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più
lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore
che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello
e sorella.
Cristo
abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. 'Dio non ha
mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il
mondo sia salvato per mezzo di lui' (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere,
senza costringere nessuno ad aprirgli le porte del suo cuore e della
sua mente. 'Chi fra voi è il più grande diventi come il più
piccolo e chi governa diventi come quello che serve' – dice Gesù
Cristo – 'io sono in mezzo a voi come uno che serve' (Lc 22,26-27).
Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un
atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più
lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità
che edifica la pace.
Maria,
la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni
la fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace
ad ogni uomo su questa nostra amata terra.
Nessun commento:
Posta un commento