CITTA' DEL VATICANO, 18 DIC. 2011 (VIS). Al termine del discorso nel carcere di Rebibbia, il Santo Padre ha risposto a sei domande che i detenuti gli hanno rivolto. Di seguito ne riportiamo una sintesi.
1..- Desidero chiedere a Vostra Santità se questo suo gesto sarà compreso nella sua semplicità, anche dai nostri politici e governanti affinché venga restituita a tutti gli ultimi, compresi noi detenuti, la dignità e la speranza che devono essere riconosciute ad ogni essere vivente.
R.- Io sono venuto soprattutto per mostrarvi questa mia vicinanza personale e intima, nella comunione con Cristo che vi ama, come ho detto. Ma certamente questa visita, che vuole essere personale a voi, è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini, al nostro Governo il fatto che ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane. E certamente, il senso di queste carceri è proprio quello di aiutare la giustizia, e la giustizia implica come primo fatto la dignità umana. (...) Quindi, io, per quanto posso, vorrei sempre dare segni di quanto sia importante che queste carceri rispondano al loro senso di rinnovare la dignità umana e non di attaccare questa dignità, e di migliorare la condizione. E speriamo che il Governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per rispondere a questa vocazione".
2.- Più che una domanda preferisco chiederti di permetterci di aggrapparci con te con la nostra sofferenza e quella dei nostri familiari, come un cavo elettrico che comunichi con il Signore Nostro. Ti voglio bene.
R.- Anch’io ti voglio bene. Questa identificazione del Signore con i carcerati ci obbliga profondamente, e io stesso devo chiedermi: ho agito secondo questo imperativo del Signore? (...) Questo è un motivo perché sono venuto, perché so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore, il Quale, nel giudizio ultimo, ci interrogherà proprio su questo punto e, perciò, spero che qui, sempre più, possa essere realizzato il vero scopo di queste case circondariali: quello di aiutare a ritrovare se stessi, (...) nella riconciliazione con se stessi, con gli altri, con Dio, per rientrare di nuovo nella società e aiutare nel progresso dell’umanità".
3.- Santità, Le sembra giusto che (...) ora che sono un uomo nuovo, e da due mesi papà di una splendida bambina (...) non mi concedano la possibilità di tornare a casa, nonostante abbia ampiamente pagato il debito verso la società?".
R.- "Anzitutto, felicitazioni! Sono felice che (...) Lei si consideri un uomo nuovo (...). Lei sa che per la dottrina della Chiesa la famiglia è fondamentale, è importante che il padre possa tenere in braccio la figlia. E così, prego e spero che quanto prima Lei possa realmente avere in braccio sua figlia, essere con la moglie e la figlia per costruire una bella famiglia e così anche collaborare al futuro dell’Italia.
4.- Cosa possono chiedere degli uomini detenuti, malati e sieropositivi al Papa? (...) Troppo poco si parla di noi, spesso in modo così feroce come a volerci eliminare dalla società. Questo ci fa sentire sub-umani".
R.- Dobbiamo sopportare che alcuni parlino in modo “feroce”, parlano in modo “feroce” anche contro il Papa, e, tuttavia, andiamo avanti. Mi sembra importante incoraggiare tutti che pensino bene, che abbiano senso delle vostre sofferenze, abbiano il senso di aiutarvi nel processo di rialzamento, e, diciamo, io farò la mia parte per invitare tutti a pensare in questo modo giusto, non in modo dispregiativo, ma in modo umano, pensando che ognuno può cadere, ma Dio vuole che tutti arrivino da Lui, e noi dobbiamo cooperare in spirito di fraternità e di riconoscimento anche della propria fragilità, perché possano realmente rialzarsi e andare avanti con dignità
5.- "Santità, mi è stato insegnato che il Signore vede e legge dentro di noi, mi chiedo perché l’assoluzione è stata delegata ai preti?
R.- Direi due cose. La prima: naturalmente, se Lei si mette in ginocchio e con vero amore di Dio prega che Dio perdoni, Egli perdona. (...) Un secondo elemento: il peccato non è solamente una cosa “personale”, individuale, tra me e Dio. Il peccato ha sempre anche una dimensione sociale, orizzontale. E perciò questa dimensione sociale, orizzontale, del peccato esige che sia assolto anche a livello della comunità umana, della comunità della Chiesa. (...) Quindi, questa seconda dimensione del peccato, che non è solo contro Dio ma concerne anche la comunità, esige il Sacramento. (...) L’assoluzione del prete, l’assoluzione sacramentale è necessaria per assolvermi realmente da questo legame del male e reintegrarmi nella volontà di Dio (...) e darmi la certezza (...): Dio mi perdona, mi riceve nella comunità dei suoi figli.
6.- Santo Padre, lo scorso mese è stato in visita pastorale in Africa, nella piccola nazione del Benin, una delle nazioni più povere del mondo. (...) Le chiedo: loro pongono la speranza e la fede in Dio e muoiono tra povertà e violenze. Perché Dio non li ascolta? Forse Dio ascolta solo i ricchi e i potenti che invece non hanno fede?
R.- Le misure di Dio, i criteri di Dio, sono diversi dai nostri. Dio dà anche a questi poveri gioia, il riconoscimento della sua presenza, fa sentire che è vicino a loro anche nella sofferenza, nelle difficoltà e, naturalmente, ci chiama tutti perché noi facciamo di tutto affinché possano uscire da queste oscurità delle malattie, della povertà. (...) E dobbiamo pregare Dio: mostraci, aiutaci, perché ci sia giustizia, perché tutti possano vivere nella gioia di essere tuoi figli.
Al termine delle domande un detenuto ha letto una preghiera da lui composta dal titolo: "Preghiera dietro le sbarre" nella quale invoca Dio con queste parole "Accorcia le mie notti insonni (....) Solo l'amore dà vita, mentre l'odio distrugge e il rancore trasforma in inferno le lunghe e interminabili giornate". Infine il Papa ha recitato il Padre Nostro con i detenuti e uscendo dalla Chiesa ha benedetto un cipresso piantato nel cortile a ricordo della visita.
PV-REBIBBIA/ VIS 20111219 (990)
PV-REBIBBIA/ VIS 20111219 (990)
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